Write drunk, edit sober. (Ernest Hemingway)

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Allora, Cinquanta sfumature di grigio parla di ASPETTATE DOVE STATE ANDANDO STAVO SCHERZANDO.
Minchia se siete presi male, oh.

Tranquilli, oggi parleremo di tutt’altro, e nello specifico di macelleria narrativa. Fate la faccia entusiasta!

Mi dia… un quarto di fantasy e due costine di giallo. Quei racconti erotici sono freschi?

Quella vecchia volpe di Alfred Hitchcock diceva

Drama is life with the dull bits cut out.

Cioè

Il dramma è la vita con le parti noiose tagliate.

In altre parole! Se doveste girare un documentario dal titolo Vita segreta delle marmotte e piazzaste una telecamera per una settimana di fronte alla tana di una marmotta, a riprendere ventiquattr’ore su ventiquattro quello che succede e non succede, alla televisione poi trasmettereste ventiquattro per sette uguale CENTOSESSANTOTTO ore di filmato non-stop della tana della marmotta? Non credo proprio. Persino alle opere a fine divulgativo e documentaristico, infatti, viene applicato un rigido sistema di selezione e montaggio prima di pubblicarle. Perché è (anche) di questo che è fatta la narrativa: di selezione.

Qualsiasi sia la storia che vogliamo raccontare, ci sono che includiamo e cose che escludiamo. Con che criterio? Beh, quale metodo migliore per spiegarlo che questo:



Quando il nostro caro professor Jones si sposta da un capo all’altro del mondo all’avventura, non viene mostrato lui che sale sull’aereo, che aspetta che l’aereo decolli, che legge il solito depliant esplicativo sulle manovre di sicurezza da effettuare in caso di incidente, che chiede uno snack alla hostess, che sta scomodo sul sedile perché quello davanti si è fatto troppo indietro ecc. ecc. Ci basta appunto montare una scenetta del genere, dove l’aeroplanino si sposta dal punto A al punto B, per dire allo spettatore tutto ciò che gli serve sapere.

Ma come si fa a decidere cosa il lettore deve sapere o no? Vuol dire che bisogna eliminare tutta la “ciccia” e lasciare solo le “ossa” di una storia? Dove si lavora di accetta e dove di bisturi? Cerchiamo di capirlo con qualche esempio.

[1] «Ciao, Harry, come va?»
«Bene, Ron, grazie. Tu?»
«Massì, dai, bene. Normale.»
«Tua mamma?»
«Bene anche lei. Ha comprato un nuovo libro di cucina, Cose buone che non ti aspettavi che sapessero cucinare i Troll, e ogni giorno ci prepara qualcosa di nuovo.»
«Ah, bene! Vorrà dire che una di queste sere mi auto-inviterò a cena da voi.»
«Quando vuoi, Harry! Lo sai che alla Tana sei sempre il benvenuto.»
«Lo so, lo so, è solo che ultimamente sono stato un po’ preso dal lavoro.»
«Ah sì? Le solite scartoffie?»
«Sì, non me ne parlare, guarda. Ne ho fin sopra i capelli.»

OMMIODDIO, VI DECIDETE A FARE QUALCOSA DI INTERESSANTE O NO?

Strano ma vero, di fronte a scene del genere, spesso l’autore si nasconde dietro alla parola magica verosimiglianza. “Ma guarda che nella vita vera le persone parlano così. Ma guarda che io parlo così. Ma guarda che capita che la gente parli senza voler necessariamente andare a parare da qualche parte.”

Questa è quella che in gergo tecnico viene definita cazzata. Ah, no, scusate, volevo dire stronzata. Sapete com’è, il lessico specifico è difficile da memorizzare.

Perché mai sarebbe una stronzata? Facile, miei piccoli lettori. Sì, è vero, la gente parla così. La gente quando parla non sempre lo fa per dire qualcosa di significativo o di interessante. E sapete perché? Perché la gente comune, la gente vera, la gente di tutti i giorni NON DEVE FAR ANDARE AVANTI UNA TRAMA.

Pensateci un attimo. Qual è la principale differenza tra una storia vera e una storia di fantasia? Che la storia vera non ha necessariamente un senso, una conclusione, qualcosa che alla fine rimetta a posto tutti i tasselli. Se io oggi incontro per caso il mio vecchio compagnuccio di scuola Gigino, che adesso fa il poliziotto, non significa necessariamente che di qui a qualche giorno verrò coinvolta in un’indagine di polizia – per cui, guarda caso, è proprio fondamentale che io abbia riallacciato i rapporti con Gigino, perché altrimenti mai e poi mai avrei potuto accedere al database della polizia per scoprire se il giardiniere della contessa Ildebranda ha mai avuto precedenti penali! Nella vita vera, oggi incontro Gigino e magari non lo incontrerò mai più in vita mia. O magari lo incontro, ci mettiamo d’accordo per prendere un caffè di tanto in tanto con i figli, E BASTA. Non deve avere un senso, uno scopo, un perché. Accade perché sì, perché è il caso.

La mia prof di matematica del liceo diceva sempre: “Fatti interrogare oggi, Baldaro, perché domani, chi lo sa, magari ti cade un cocco in testa!” Mettendo un attimo da parte che io avrei preferito ricevere il cocco in testa che farmi interrogare in matematica, c’è una verità narrativa piuttosto forte in questa affermazione. Se ad esempio Harry Potter fosse finito così?

[2] «Hermione, la Profezia è chiara! Io dovrò scontrarmi faccia a faccia con Voldemort, e uno dei due in questo confronto morirà.
Hermione era in lacrime. “Ma è terribile, Harry!”
“Lo so, ma è il mio destino, e contro il destino non…”
Harry non finì mai la frase, perché arrivò all’improvviso un autobus e lo investì, uccidendolo.

MEEEP MEEEP

Nella vita vera questo succede per davvero. Capita di uscire in bici e di venire investiti da un bus. Capita di cadere in un tombino. Capita di svegliarsi tardi e non fare in tempo ad arrivare in università per dare un esame, capita di perdere il treno, capita di avere giornate in cui non succede niente. MA IL FATTO CHE SUCCEDA NELLA VITA VERA NON SIGNIFICA CHE FUNZIONI NECESSARIAMENTE ANCHE SU CARTA.

Per cui, come per il professor Jones che vola da Chicago a Dubai, ci sono scene che, anche se fanno parte della vita vera, non siamo tenuti a descrivere, per non rischiare di scadere nel noioso. Una cosa diffusissima nelle fanfiction è quella di introdurre lentissimissimamente il personaggio con una lunga digressione sui suoi preparativi per andare a scuola. Tipo:

[3] Rebecca si svegliò e guardò la sveglia sul comodino. Erano le 7:45. Sbadigliò e si alzò dal letto, cercando le ciabatte con i piedi nudi. Si diresse verso l’armadio e ci frugò dentro per qualche minuto, alla ricerca di un paio di un paio di jeans puliti e di una maglietta. Ne trovò una rosa con raffigurata in bianco la silhouette di Hello Kitty. Andò in bagno con i vestiti puliti sotto braccio. Si spogliò davanti allo specchio, si infilò sotto la doccia e si lavò con un bagnoschiuma alla lavanda, quello di sua madre. Pensò per qualche minuto alla scuola, sperando di non venire chiamata alla lavagna a fisica, poi uscì e si infilò il reggiseno, le mutandine e la maglietta senza asciugarsi i capelli. Se li spazzolò che erano ancora umidi, poi ci passò una phonata veloce. Faceva caldo, si sarebbero asciugati da soli. Si mise anche i jeans, buttò il pigiama sporco nella cesta della biancheria e uscì dal bagno a piedi nudi. Scese dabbasso dove l’aspettava il solito caffellatte con i biscotti. La prima cosa che notò, però, è che stranamente suo padre era ancora in casa e che aveva l’aria torva.

Ora, vedete chiaramente anche voi che l’intero paragrafo potrebbe essere riassunto in un

[4] Quando Rebecca quella mattina scese a fare colazione, notò che stranamente suo padre era ancora in casa e che aveva l’aria torva.

Qui si lavora con l’accetta, anzi, con la motosega!

Perché la descrizione di Rebecca non è interessante? Essenzialmente perché non ha alcun motivo per esistere. È una scena che possiamo omettere tranquillamente, perché anche il lettore medio si sveglia tutte le mattine, e avrà letto un fottilione di descrizioni di risveglio, e va lì va là sa benissimo qual è la routine media di una persona al mattino, quindi a che scopo descrivergli questa in particolare? Sarebbe come descrivere come funziona il telefono tutte le volte che per caso un personaggio telefona!

[5] Kate alzò la cornetta e se la portò all’orecchio, appoggiando la parte del ricevitore al padiglione auricolare e quella del microfono vicino alla bocca, in modo da poter sentire quello che la persona dall’altro capo del filo diceva, ma anche comunicare. Si dice “persona all’altro capo del filo” perché la pulsantiera del telefono è attaccata a un filo alla presa della corrente, ecc. ecc.
È una scena che non aggiunge niente: non mostra qualcosa di interessante o di insolito, non arricchisce la conoscenza che il lettore ha di Rebecca, non approfondisce la trama, e nessuna delle azioni compiute da da Rebecca ha una qualche relazione con quello che succederà dopo nella trama. Il punto è che si è svegliata e che è scesa a far colazione.

“Quindi fammi capire, Kukiness.”

Dimmi, curioso lettore interattivo (o voce nella mia testa… non riesco mai a distinguervi).

“Dicevo, quindi quello che dici tu è che praticamente vale la pena di descrivere solo ed esclusivamente ciò che è strettamente legato alla trama e/o qualcosa di bizzarro che nessuno si aspetta, giusto?”

Sbagliato.

Il punto è questo: quando si scrive bisogna essere consapevoli che tutto ciò che si omette e tutto ciò che si include avrà delle forti ripercussioni sull’intero complesso del romanzo. Se ometti troppo, si rischia ovviamente di risultare poveri, inconcludenti, sbrigativi, o peggio, di non venire capiti. Se si include troppo, si rischia invece di annoiare, di confondere, o di rallentare il ritmo narrativo all’infinito, magari spezzando quella che dovrebbe essere una scena di tensione, di pathos, o comunque dotata di una certa dinamicità.

Ogni volta che vogliamo scrivere una scena, è sensato chiedersi il perché. Il che non vuol dire che il perché debba essere necessariamente “perché deve assolutamente in qualche modo far procedere la trama!!!”. Potremmo anche trovare altri perché, ad esempio “perché voglio approfondire le motivazioni del mio personaggio”, “perché il mio romanzo ad ambientazione storica ha bisogno di essere arricchito da certe suggestioni”, “perché mi sembra che questa scena aiuti a definire meglio il rapporto tra il personaggio A e il personaggio B”.

Non è nemmeno da escludere la motivazione del “perché sì, perché mi va di descrivere minuziosamente il citofono della casa del vicino del protagonista”.

I DO WHAT I WANT

Il “tanto per fare” non è mai la migliore delle motivazioni, perché spesso conduce a compiere errori grossolani (quando non si sa dove andare a parare si rischia sempre di strafare) ma un po’ di atmosfera non la si nega a nessuno. Tanto, sapete come si dice, no? “Peggio per te” se scrivi ad cazzum e poi viene fuori una, in gergo tecnico, stronzata.

Dopo aver stabilito il perché, dovremmo avere meno difficoltà a “calibrare” le dosi della scena. Ad esempio, riprendendo l’esempio [3], la scena del risveglio; se volessimo sfruttarla per approfondire il personaggio di Rebecca? Allora chiediamoci: quante cose caratteristiche può fare un personaggio nell’arco della routine mattutina?

Rebecca potrebbe schiantare la sveglia contro il muro, inciampare in un cumulo di vestiti sporchi lasciati per terra ad accumulare polvere da una settimana; potrebbe frugare nella pila, cavarne il paio di jeans che puzza meno, e indossarlo. La doccia non funziona, perché si è dimenticata di pagare la bolletta…

Vedete anche voi che improvvisamente il risveglio diventa molto più interessante, perché è un risveglio che approfondisce il personaggio. Dobbiamo stare attenti a non dimenticare però che questa è una scena di raccordo. È verosimile, ad esempio, far durare la scena della routine mattutina per più di due pagine? Che tipo di impatto avrà sul ritmo del racconto? Va bene caratterizzare, ma non rischio in questo modo di far diventare Rebecca una macchietta?

Qualche consiglio di lettura, per trovare diversi usi dei toni descrittivi e delle varie omissioni/immissioni:

Georges Perec, La vita, istruzioni per l’uso

Irène Némirovsky, Il vino della solitudine

Joseph Heller, Comma 22

Cormac McCarthy, Non è un paese per vecchi

Tanto è estate, e sono sicura che ormai abbiate tutti finito Cinquanta sfumature di EHI NO FERMI SCHERZAVO TORNATE QUI! NON OFFENDETEVI!

Che lettori permalosi.


Su EFP, scade oggi il concorso sul libro Il Circo della Notte, di Erin Morgenstern.
 

Copertina del romanzo
 
 

Il regolamento prevedeva di scrivere una fanfiction basandosi sul primo capitolo del libro (una decina di pagine). Nulla vietava di leggere tutta la storia, ma non sarebbero state considerate OOC o non valide storie che non tenessero in considerazione i capitoli successivi. Non solo, ci si poteva ispirare anche a una generale “atmosfera” che le pagine trasmettevano.

Nelle prime sei pagine (scaricabili in PDF dal sito che ho linkato sopra o anche da EFP), abbiamo questa scena: si sa che c’è un circo misterioso, il Cirque des Reves (circo dei sogni) che appare all’improvviso nel suo tendone bianco e nero. L’unico cartello fuori dalla cancellata recita:

Apre al Crepuscolo
Chiude all’Alba
 

Il primo pezzettino è scritto in seconda persona singolare, come se lo scrittore si rivolgesse al lettore/spettatore del circo, in procinto di entrare. Qualche immagine generica di circo (caramello, zucchero filato, lustrini…) e la promessa di trovarsi in un posto magico. Passiamo a una narrazione in terza persona, dove facciamo la conoscenza di Hector Bowen detto Prospero, un famoso incantatore. Al detto soggetto viene recapitata una figliola, Celia, la cui madre si è suicidata. Lui non solo accoglie la notizia con un certo fastidio, ma dà della scema alla madre della bambina e commenta sarcasticamente che avrebbe fatto meglio a chiamarla Miranda, con dotto rimando alla Tempesta di Shakespeare. La bambina non è molto più entusiasta del padre e gli fracassa una tazzina con lo sguardo, dando prova di possedere poteri magici. Tiene anche a precisare che a lei piace Celia come nome e che non ha intenzione di farsi chiamare Miranda.

Questo, in breve, il materiale su cui costruire la fanfiction.

Andando a leggere le circa 150 storie che sono state pubblicate su EFP per il concorso, ho notato alcuni particolari ricorrenti nelle storie.

1. Temi

Che domande, il tema è il circo!

Su questo, le storie non mostrano molte eccezioni: sono quasi tutte ambientate nel circo o comunque legate a quell’ambiente. Quelle che fanno eccezione appartengono a una categoria abbastanza definita, di cui parlerò dopo.

Nel circo, le autrici si sono spaccate a metà: quelle che hanno deciso di mostrarci uno spettatore e quelle che hanno scelto gli occhi di un “lavoratore” del Cirque des Reves.

Nella prima categoria, purtroppo,tutte le storie cadono nello stesso-identico-cliché: lo spettatore arriva, è cinico e diffidente, accade un qualche tipo di magia e si convince di trovarsi in un ambiente magico ed onirico. Su questo punto, non ricordo più le volte in cui ho letto alla fine della fic “Perché questo è un sogno.” “Perché la vita è un sogno.” “Era sogno o realtà?” e altro su questa scia. Le autrici dimostrano di aver capito bene che ci troviamo nel Circo dei Sogni, a quanto pare.

Però.

Insomma, uno spettatore in un circo meraviglioso vedrà delle cose, beh, meravigliose, no? Cose degne di essere descritte nei minimi dettagli.

No.

Vede “portenti, magie, prodigi, incanti, colori, nastrini”. Insomma, non vede una mazza. Racconta di aver visto cose fighe, ma il lettore si sente preso in giro. Come se un vostro amico, reduce da un’esperienza del genere, vi raccontasse dello spettacolo così:
 
– Allora, il circo?
– Bello! Sublime! Magico!
– Che fortuna! cosa hai visto?
– Eh, magie.
– Sì, ma che tipo di magie?
– Magie STUPEFACENTI!
-…
Nella seconda categoria, lo confesso, speravo con tutto il cuore di trovare molta più inventiva sui circensi che lavorano in un circo così particolare. Insomma, hai un circo magico, sbizzarrisciti! Mi aspettavo scenari alla Big Fish, per intenderci.
 
dove sono le gemelle siamesi?
 

Con mio sommo scorno, le storie che parlano di artisti, che descrivono numeri strani, insomma che mostrano un minimo di fantasia da parte dell’autore sono pochissime. Per pochissime intendo meno di 10 su 150.

E le altre? Beh, le altre parlano di Celia e Prospero. Per essere più precisi:

– Prospero scocciato da Celia

– Prospero inizialmente scocciato da Celia ma che poi le vuole bene

– Prospero che si ricorda di voler bene alla madre di Celia ed è tanto triste

– Prospero che litiga con Celia (per il nome, sempre per il maledetto nome)

– Prospero che litiga con Celia ma riconosce che brava maga è e le cede il timone

– Celia cresciuta incontra l’amore

Che, per carità: sono due maghi potenti, ne avresti di magie da inventare per mostrare l’addestramento di Celia o il potere del padre. Bene, il problema è proprio in quel mostrare: nelle storie (fa eccezione la sopracitata decina) non c’è traccia di incantesimi. E’ tutto un “fece un incanto potentissimo” “vide cose meravigliose” “Era capace di grandi prodigi”. Quali? Trasformare gli spettatori in scimmie o far spuntare conigli dal cappello? Forse accendere la scintilla della fantasia nella mente degli autori, quello sarebbe un grande incanto…

 
siore e siori, grandi prodigi!
 

La categoria a parte, di cui parlavo prima, è composta dalle storie che hanno voluto approfondire la figura della madre di Celia.

*sospiro*

Diciamo che non brillano per inventiva. Diciamo che in una parte consistente (che espressa in numeri sarebbe 99,9%) ci sono una donna disperata e povera che non sa come badare alla figlia, così la affida con gli ultimi soldi al padre. C’è la figlia che capisce e si fa adulta di colpo, la madre che piange, il Destino Porco Bastardo… e badilate di noia.

In molte storie la madre non si suicida, finge solamente di farlo. In altre (oh, un minimo di inventiva!) una creatura sovrannaturale. Queste sono le uniche storie in cui si esce dall’ambiente del circo. Finiscono sovente con la lettere che Madre scrive a Prospero.

 2. Frasi

Posso capire che, con dieci paginette come guida, uno si attacchi alle citazioni per rimanere in tema. Però che ci si attacchi a pappagallo è svilente.

Poche fanfiction si fanno mancare la citazione del cartello che accoglie i visitatori del circo, piazzata lì e poi dimenticata (al massimo si chiedono tutti “Che vuol dire?” Ma che vuoi che voglia dire! Gli spettacoli saranno di sera, citrullo!).

I sogni. Benedetti sogni, citati in lungo e in largo. Credo di aver riletto tutte le frasi fatte sui sogni, in questi due giorni. Si salvano alcuni usi intelligenti della citazione di Shakespeare “Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni”.

Lo spettatore che se ne va chiedendosi se è stato tutto un sogno, invece, lo darei in pasto a Sandman.

3.Stile

Se un’americanza fa la figa e usa la seconda persona (a mio parere male, ma vabbè, non è una recensione del libro) non è che chi lo fa acquisisce per osmosi l’atmosfera del libro.

Ho notato molte storia scritte in seconda persona. Personalmente la narrazione non ci guadagna, anzi, io provo un senso di fastidio di fronte a questo stile. Cattiva idea da copiare.
 
che vuoi da me? Perché mi tiri in ballo, signor autore?
 

Tirando le somme, posso solo notare con un po’ di tristezza come gli spunti che gli autori hanno sviluppato per il contest ruotano attorno a pochi, noiosi cliché.

Anche se la storia, come potenziale, permetterebbe un uso smodato della fantasia.

Peccato.
 

Tanto tempo fa, in un archivio di fanfiction lontano lontano…

[1] Immaginate di trovarvi sulla spiaggia. C’è un bambino sul bagnasciuga che gioca col secchiello e la paletta, per costruire un bel castello di sabbia. Arriva un bambino più grande, guarda l’embrione di castello di sabbia che potrebbe essere anche una torta e PAM PAM PAM lo riduce in poltiglia saltandoci sopra. Guarda con odio  il bambino in lacrime e gli sibila “Tu questo lo chiami castello? Scommetto che quando dico ‘merlo’ tu capisci ‘uccello’! Ah! Tu insozzi la categoria degli architetti!” E se ne va tutto orgoglioso di sé.
[2] Immaginate di aver accompagnato vostra nonna al Club dell’Uncinetto. La presidentessa guarda le presine da forno rosa sferruzzate dalla vostra nonnina la settimana prima. Le squadra con sufficienza e PAM PAM PAM le sbatte per terra e ci salta sopra con disprezzo. “Signora Lulli, le sembrano presine queste? Ha chiaramente saltato due punti e questa è più larga da un lato! Una schifezza! Non le farei usare nemmeno al mio cane! Si vergogni!”
L’uncinetto non è roba da signorine
Trovate le differenze:
immaginate di essere uno scrittore di fanfiction. Avete pubblicato una one-shot sulla vostra coppia preferita e state aspettando trepidanti una recensione. Gioia e tripudio, eccone una! La aprite per leggerla e PAM PAM PAM “Mh, cosa vedono le mie fosche pupille? ‘A mangiato una mela’, senz’acca??? Immagino che tu provenga del Regno dove l’acca davanti alla terza persona singolare del presente del verbo avere non si mette, meglio conosciuto come Ignorantolandia. Oserei dire che sei il Re del Regno degli Ignoranti, dato che qui ho visto anche un congiuntivo sbagliato e, ommioddio, qualcuno mi sciolga gli occhi con dell’acido: è un ‘ke’ al posto del ‘che’ quello che vedo lì? Ommiddio!”
Trovate. Le. Cazzo. Di. Differenze.
Sì, mio caro Recensore Rabbioso o Nazista Della Grammatica che dir si voglia. Quando lasci recensioni del genere, è esattamente così che sembri…
… un bulletto prepotente che distrugge i castelli di sabbia degli altri bambini. Wow! Quanto sei figo! Hai fatto brutto a dei ragazzini di tredici anni! Incredibile! Che coraggio!I Paladini della Grammatica

Io giuro, giuro, GIURO che tutte le volte che leggo il sintagma “paladino della grammatica” mi viene voglia di mettermi a urlare. Paladino e dintorni, eh, perché anche quelli che si fanno chiamare “cavaliere, vendicatore, giustiziere, mia nonna in carriola DELLA GRAMMATICA” mi fanno venire giusto giusto su la bile e giù le braccia.

Ora. Parliamone. Lo so che sconvolgerò i più e atterrirò i meno, ma devo dirlo. Notiziona flash: le fanfiction stanno alla letteratura come i castelli di sabbia all’architettura. INCREDIBILE MA VERO.

NOOOOOOOOOooooo

EBBENE SÌ. Nascondete i bambini, mettete in cantina gli anziani, nell’armadio gli amanti e ingabbiate gli animali. Fare i “paladini della grammatica” andando a commentare in maniera sarcastica e feroce delle cazzo di fanfiction è esattamente come andare a fare pipì sui castelli di sabbia dei bambini al mare IN NOME DELL’ARCHITETTURA. Utile quanto lavare la macchina mentre piove e intelligente quanto usare il sapone intimo per lavarsi i denti.

Ma vediamo di procedere con ordine. Chi sono questi Paladini della Grammatica? Perché la vostra Kukiness sta spruzzando bile tutt’intorno come neanche la bambina dell’Esorcista? C’entrano Orlando e Carlo Magno? SPIEGHIAMOCELO.
Cose che ho imparato guardando nell’Internet

Gli autoproclamatisi (va’ che parolone) Paladini della Grammatica sono scrittori di fanfiction che vanno in giro per archivi e forum a rompere le palle a recensire in maniera sarcastica e feroce le peggio fanfiction (che loro definiscono fyccine e ci dovrei pure scrivere un articolo sulla sottile differenza tra fanfiction e fyccina ma non c’ho lo sbatti) che capita loro di incrociare mentre navigano bel belli. Io dico “capita di incrociare”, ma voi dovete leggere “fyccine che vanno a cercarsi con il lanternino”, perché i Paladini della Grammatica (da qui in avanti PdG perché sono stufa di mettermi a gridare tutte le volte che lo scrivo) provano un gusto sadico nel rimestare nel torbido e poi andare a fare a brandelli tutto quello che trovano. A volte si fanno chiamare PdG, altre volte con altri ameni soprannomi del genere, ma capita anche che non si affibbino nessuna etichetta in particolare.
I PdG sono una particolarissima categoria di lettori e di recensori. Si muovono in branco, come le iene, e vanno a prendersi gli gnu malaticci, quelli che non riescono a scappare, e li trascinano in mezzo al branco ancora mezzi vivi, perché sennò non c’è gusto.
Espressioni intelligenti e rassicuranti
Lo gnu malaticcio è, ovviamente, la fyccina che dopo tanto rimestare hanno trovato da sbranare. Non agiscono da soli, prima gettano la carcassa nella polvere e se ne stanno un po’ lì a ridere istericamente tra loro.
“Oddio, hai visto che roba? Com’è malaticcio questo gnu. Hai visto che gambe storte? E come puzza. E il pelo? Che schifo questo pelo tutto incrostato di polvere. Ehi, correte, venite a vedere questo gnu schifoso e puzzolente, venite a insultarlo anche voi!”
“Mamma mia, sì, che schifo.” *stuzzica con bastoncino* “Non vedevo una roba così dai tempi dell’ultima carcassa di montone pestifero che ci hai portato.”
“Anche a me fa schifo!”
“Anche a me!”
“A me pure! Vergogna! DIsgusto! Fai schifo, gnu!”
E se ne stanno lì, a bearsi del fatto che loro i congiuntivi sì che li conoscono, e loro mai e poi mai metterebbero una kappa al posto della c, giammai!, che vergogna! Dopo aver insultato lo gnu per un po’, alzando la posta magari citando altri gnu schifidi, una delle iene decide che basta!, non si può più vedere!, non si può lasciare quello gnu a insozzare la Savana (detta anche Fandom). E allora giù di recensioni, perché sì, perché è così che si fa, sono cose che non si possono tollerare e si devono EPURARE COL FUOCO.
Nessuno si aspetta l’Inquisizione Spagnola!

Cercherò di scrivere questa recensione in modo che tu la capisca, ok? Tu e il tuo cervellino da bimbominkia che ti ritrovi. Hai presente quella “a”, lì, tutta sola, che hai messo vicino a “mangiato” nella frase “a mangiato una mela”? Ecco, lo so, è molto difficile da capire, ma prima della “a” ci vuole una “h”. Sto andando troppo veloce per te? Rallentiamo?

Io voglio sperare che tu non abbia più di dieci anni o che tu sia straniera, perché queste cose sono inconcepibili. Ah, no, aspetta, magari sei Benjamin Button e più invecchi più il tuo cervello regredisce. Solo questo spiegherebbe lo sfacelo di tempi verbali che ho trovato nella tua storia, se “storia” si può definire questo obbrobrio.

Cioè, scusa, ma abbiamo letto lo stesso libro? Draco che sta con Hermione? Ah, magari tu hai letto solo la versione di Geronimo Stilton – perché almeno Geronimo Stilton lo hai letto, vero?, o guardavi solo le figure? – no, perché nella versione che ho letto io Draco diciamo che un pochino odia i Mezzosangue? Ma giusto un filo, eh, non preoccuparti. Ah, e sempre nel libro che ho letto io si dice “Hogwarts”, non “Hogwart”. Ma tanto non è importante, no? I nomi delle cose, riguardarsi i libri… no, eh?

Potrei andare avanti all’infinito, ma non voglio.

Ma io lo faccio per il loro bene

I PdG hanno questo strano concetto di “recensione negativa”: “Ma no, vedi, io umilio pubblicamente l’autore, lo derido con i miei amichetti su Facebook, lo insulto e lo inserisco nella lista delle cento fanfiction peggiori della storia PER FARLO MIGLIORARE”.
Fa più male a me che a te
Io li chiamo PdG “Cuore d’Oro”. Loro lo fanno con intento pedagogico, capite? La loro missione è andare a cercare le fyccine brutte brutte brutte in modo assurdo per gettare ai poveri autori digiuni di grammatica un po’ di briciole del loro sapere. Altra notizia flash
(e mi piacerebbe che a questo punto tratteneste tutti il fiato, il pianista smettesse di suonare, i giocatori di poker facessero cadere le carte e il barista mettesse mano al calcio del fucile sotto il bancone perché non si sa mai)
c’è una grande, grandissima, immensa, ABISSALE differenza tra lasciare una critica costruttiva e mettere qualcuno alla berlina.
Se il vostro intento è insegnare qualcosa a qualcuno, dovete mettervi nell’ordine di idee che dandogli – esplicitamente o implicitamente – dell’idiota/dell’ignorante/del deficiente/del ritardato/ecc. ecc. può darsi, e dico può darsi, che l’oggetto della vostra critica, invece di assimilare l’informazione e di imparare, 1) si offenda o 2) si dispiaccia e si senta umiliato e per questo cancella la storia e/o smette di scrivere. E non impari niente.
Mettetevi nei panni di questi autori CINQUE MALEDETTISSIMI MINUTI. Non lo fanno apposta. Sì, esistono i troll che scrivono fanfiction orride apposta giusto per vedervi imbizzarriti come puledre pazze (sì, lo fanno proprio per voi PdG,  mica per me che me ne sbatto altamente), ma io sto parlando di quelli in buona fede, di quelli che scrivono così perché sanno scrivere solo così. Non è un compito in classe, non è il loro lavoro, non è un saggio da pubblicare, è solo una fanfiction. Si sono messi lì cinque minuti, hanno scritto una paginetta senza rileggere, si sono divertiti un mondo e hanno pubblicato, così, perché sì, perché è il loro hobby. Secondo voi, vedersi dare degli idioti e dei ritardati perché hanno sbagliato un congiuntivo li aiuta davvero a imparare a inserire i congiuntivi?
Se un tizio per strada vi gridasse “Abbrutta vacca! Guarda che blu e marrone fa il cafone, che cazzo di accostamento cromatico hai scelto di indossare? Sei daltonica? Scema di merda! Se non ti sai vestire, non uscire!” vi aiuterebbe a migliorare il vostro senso estetico? Magari il tizio c’ha ragione e avete scelto un abbinamento di colori davvero sbagliato, ma ONESTAMENTE dopo esservelo sentito dire così vi mettereste una mano sulla coscienza e direste tra voi e voi “Caspita, quel burbero sconosciuto ha ragione! Ho sbagliato! D’ora in poi farò più attenzione a ciò che indosso! Grazie, burbero sconosciuto, mi hai fatta diventare grande.”
DAVVERO?
Ma io mica li ho insultati! Non ho usato parolacce, io

Ebbeh, certo, perché sono solo le parolacce che insultano le persone, no? Bravo, giusto.
Sì, ma quella fyccina è proprio brutta brutta brutta in modo assurdo, è mostruosa, è uno stupro alla grammatica!

Allora, prima di tutto: stupro alla grammatica checcosa? Quale parte di “scrivere fanfiction non è fare letteratura” non hai capito? Il non, immagino. Beh, ripetiamolo. Scrivere fanfiction non è fare letteratura. “Epurare” il fandom dalle fyccine non è un passo in avanti verso la lingua perfetta. Vogliamo anche spiegare perché? PERCHÉ, mio caro PdG, perché il tizio che ha scritto la fyccina immonda con tutte le c trasformate in k e con i congiuntivi sbagliati e i personaggi OOC magari toglierà pure la fanfiction dal tuo archivietto perfetto, ma non avrà imparato un tubo marcio e continuerà a scrivere le k al posto delle c e a sbagliare congiuntivi e a immaginare i personaggi OOC. Il che essenzialmente è come nascondere un mucchio di spazzatura con un telo, che così mica si vede. Uguale.
Togli quel telo dalla mia faccia!
E poi di tutto: sì, hai ragione, quella fanfiction è scritta proprio male. Respira profondamente, conta fino a dieci, e decidi:
1) ci tieni che l’autore migliori e impari a non sbagliare più i congiuntivi. Perfetto. Armati di pazienza e lasciagli una recensione costruttiva. Attenzione: recensione costruttiva non è sinonimo di merda spacciata per cioccolato.
Questa non è una recensione costruttiva:

Bellissima la tua fanfiction!!! C’è qualche errore qua e là, ma piccolo piccolo, tipo che passi dal presente al passato nella stessa frase, ma chi sono io per giudicarti? Nessuno è perfetto! Tanti baci e tanti saluti.

Questa è una recensione costruttiva:

La tua fanfiction non mi è piaciuta, perché purtroppo ci sono molti errori che impediscono al lettore di godersi la lettura. Sta’ attenta alla punteggiatura: la virgola non separa mai il soggetto dal verbo di riferimento! E attenta anche alle “h”: il verbo avere vuole l’acca, mentre la preposizione non la vuole (esempio: “Erica ha visto un bel film”, “Andiamo a nuotare in piscina).

Non dovete trattarli come ritardati. Potete spiegare benissimo cosa c’è che non va senza usare un tono supponente e senza dare implicitamente (o esplicitamente) all’autore dell’ignorante.
2) ci tieni che l’autore non sbagli più, ma non hai il tempo/la voglia di lasciare una recensione costruttiva approfondita. Non recensire. Non è difficile. Non è che a scrivere una recensione piccata prende meno tempo, eh.
Oppure, terza opzione, che poi è anche un’altra notizia flash, quindi preparate le scialuppe e le stanze antipanico:
3) realizzi che forse forse non tutti scrivono per lo stesso motivo e andare a fare le pulci a uno sui congiuntivi sbagliati in una fyccina è come andare da un bambino a fargli notare che la merlatura del suo castello di sabbia non è esattamente simmetrica.
Prima di imbizzarrirvi come puledre pazze per quello che ho detto, cerchiamo di capirci. Io sono una grande fan dello scrivere e del parlare bene. Faccio la beta-reader con piacere e la editor free lance a tempo perso. Gestisco laboratori di scrittura creativa e quando scrivo qualcosa mi piace farlo al massimo delle mie capacità e bla bla bla. Mi rendo conto, però, che non tutti scrivono perché amano scrivere. Come ho già detto altrove, può darsi che uno scriva perché gli piace immaginare Naruto e Sasuke in spiaggia che si spalmano la crema solare sulle (s)palle.
La fanfiction ha poco e niente a che fare con la letteratura. Ci sono le dovute eccezioni: c’è chi sogna di scrivere e scrive anche fanfiction, come c’è chi ama l’architettura e studia per diventare architetto e costruisce anche castelli di sabbia. C’è chi lo fa perché gli piace fare le cose per bene, chi lo fa perché così spera di esercitarsi e di migliorare, non lo metto in dubbio. Però c’è anche chi costruisce castelli di sabbia perché ha cinque minuti e un secchiello e una paletta e non ha nient’altro da fare – non può fare il bagno perché ha mangiato un panino con la porchetta due minuti fa.
Può darsi, quindi, che anche se siete educatissimi e pacatissimi e lasciate una recensione costruttiva impeccabile, può darsi comunque che l’autore vi risponda “sì, grazie, un giorno lo farò vedere a un beta-reader” e poi non lo fa. Come un bambino con secchiello e paletta, di fronte al vostro giustissimo appunto “le finestre sono sproporzionate rispetto alla porta”, farebbe spallucce e continuerebbe a scavare il suo fossato.  Capita.
Non esiste solo la grammatica. Se proprio proprio vogliamo fare quelli che si incazzano e ritengono le fanfiction un’espressione di elevata letteratura, allora dovremmo parlare di stile, di tecnica narrativa, di struttura… però, stranamente, i PdG fanno fuoco e fiamme solo per la grammatica. E io ho una teoria a riguardo.
Ammettiamolo

Secondo me, ai cosiddetti PdG piace fare la voce grossa con i niubbetti. È la loro kink. Gli piace fare quelli che hanno capito tutto solo perché hanno una grammatica a portata di mano e già alle medie sapevano che non si usa la k al posto della c. Gli piace fare quelli che “s’intendono di scrittura” e allora si appigliano a una delle poche cose (più o meno) certe della pratica della scrittura, la grammatica, e la applicano come il Vangelo, in maniera un po’ ovina, ottusa, perché sì, perché è più facile gridare “allo stupro! orrore!” quando si tratta di virgole che quando si tratta di tecniche narrative.
Diciamoci la verità: lo so che, di solito, dietro a storie scritte con i piedi ci sono trame altrettanto esili e sforacchiate, ma personalmente, e sottolineo PERSONALMENTE, preferisco diecimila volte una storia interessante con qualche congiuntivo sbagliato piuttosto che una storia scritta in maniera impeccabile dal punto di vista grammaticale ma appassionante quanto il Circolo dell’Uncinetto di Sussummano di Sotto.
La grammatica in un racconto non è tutto. È la superficie, è una conditio sine qua non (se scrivete una storia illeggibile, per quanto interessante, sai com’è, È ILLEGGIBILE), ma c’è anche dell’altro sotto. Gli scrittori questo lo sanno, lo sanno anche quelli che vorrebbero essere scrittori, mentre gli scriventi, le iene, quelli che si fanno forti delle proprie conoscenze per umiliare quelli che non le hanno, no. Non lo sanno.
Quindi

Dite la verità. Ammettete che vi piace umiliare gli altri, che vi piace fare la voce grossa su internet e che vi piace farlo in nome della grammatica perché così vi sentite intoccabili. È comunque triste e inutile, ma almeno è onesto. Smettetela di farvi chiamare Paladine, Giustiziere, Cavaliere, Patrone, Matrone o quello che siete, e datevi l’etichetta che vi meritate, cioè BULLO. Almeno uno sa cosa aspettarsi.
Ho usato anch’io il tono da bullo, vediamo se così capiscono quanto è piacevole 

Cara Kukiness,

mi chiamo Victor Frankestein e non ho un problema di cuore, visto che dal cimitero ne posso prendere quanti ne voglio, bensì di scrittura creativa. Vedi, ho scritto questa bellissima fanfiction di Harry Potter, dove alla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts arriva una nuova e misteriosa studentessa: Brittany Balthazar Argentlam Rossi, che porta con sé un terribile segreto. Sono già al capitolo ventisette, ma ho ricevuto solo tre recensioni, di cui due di Igor, il mio fidato beta-reader gobbo. Io non capisco: perché nessuno ama la mia creatura? Lei è perfetta e ha un sacco di superpoteri e salva Harry Potter dalla morte per ben cinque volte. Perché non piace a nessuno? Cosa deve fare uno scienziato pazzo per far amare il suo OC?

Distinti saluti,

V. F.

Un aneddoto di vita vera per davvero prima di cominciare. Ciao, sono Kukiness e quando giocavo a Tomb Raider non vedevo l’ora di trovare una bella rupe alta-alta dalla quale, dopo aver salvato la partita, facevo buttare di sotto Lara Croft e la facevo schiantare al suolo proprio di faccia. SPLAT. Era bello perché urlava anche in maniera piuttosto sofferta, tipo AUUUAAAAARGH. Poi spegnevo, ricaricavo dall’ultimo salvataggio e via verso nuove avventure.

Vi chiedete perché vi ho raccontato questo? (Per spaventarci a morte con i tuoi accenni di personalità multipla, Kuki?, diranno quelli che non hanno mai giocato a Tomb Raider) (No, tranquilli, c’è un perché a tutto) Perché oggi parleremo di Mary Sue e di perfezione molesta e soprattutto ci chiederemo perché le parole “Mary Sue” e “perfezione” vanno sempre a braccetto e se vale l’equivalenza inversa (Mary Sue = personaggio perfetto allora personaggio perfetto = Mary Sue).

Quante fastidiose domande indirette!
Lara, mentre ripassa i nomi degli imperatori romani e intanto fa qualcos’altro.

Mary Sue è un termine molto (stra ab)usato nel mondo delle fanfiction. Quando qualcuno vuol far capire che si intende un po’ di scrittura e vuole pure fare la voce grossa con i niubbetti, due jolly tira di solito fuori dalla manica lisa per il troppo scrivere: “le storie con le kappa non si possono vedere!!! Stuprano la grammatica!!!” e “le storie con le Mary Sue non si possono vedere!!! Che sofferenza!!!”.

All’occhio dei meno esperti, l’uso del kappa al posto della c (vogliamo far vedere che ho studiato linguistica?, il grafema < k > al posto del grafema < c >  per il fonema /k/) è praticamente l’equivalente fanfiction dell’uccidere tua madre e poi impalarne la testa fuori dalla porta. Idem per le Mary Sue. Sopproblemi.

Fino alla kappa e alla ci, dai, ci arrivano tutti. Ma cosa sono queste Mary Sue? Visto che siamo persone di cultura per davvero, affidiamoci a quel pozzo di scienza che è Wikipedia:

[…] Nella maggior parte dei casi, “Mary Sue” è un personaggio monodimensionale, poco sviluppato, troppo potente e troppo perfetto per risultare simpatico ai lettori.
Il termine si può associare anche:

  • personaggi con caratteristiche particolarmente innaturali. Tra queste le più comuni sono occhi e capelli di colori inesistenti, poteri magici o abilità sovrumane (quando in contesto, poteri e abilità superiori a qualsiasi altro personaggio), oggetti o animali non realistici e/o un passato incredibilmente tragico.
  • personaggi dotati di fortuna incredibile, molto al di sopra di ogni realistica possibilità. Questa caratteristica si nota soprattutto nei plot romantici (Mary Sue alla fine riesce a trovare il suo uomo) e avventurosi (Mary Sue sa sempre cosa fare e vince ogni combattimento) e per quanto riguarda la popolarità (le persone “giuste” saranno sempre intorno a lei). Questo non riguarda coloro che dopo grandi fatiche “vivranno felici e contenti”, ma proprio coloro che non affrontano nessun pericolo o quasi.
  • personaggi oggetto di ovvio favoritismo da parte dell’autore, che fornisce loro un ruolo molto preminente (tipico di una Mary Sue è il rubare continuamente la scena ai protagonisti “ufficiali”, “canonici”) e ne sottolinea ripetutamente i meriti, per bocca del narratore o degli altri personaggi della storia.

 

Apparentemente tutto sembra ruotare intorno alla perfezione e ai modi diversi in cui essa può essere espressa: straordinaria bellezza, straordinarie doti, straordinario background (possibilmente angst), straordinaria fortuna, straordinaria straordinarietà, con ghiaccio e limone. Apparentemente, quindi, basta evitare di inserire questo genere di dettagli nella storia e siamo salvi! Niente Mary Sue! Wikipedia saves the day again.

Ma è davvero così semplice?

Prendiamo come esempio la storia di questo tizio che conosco io, a cui non hanno sterminato solo la famiglia, non hanno sterminato solo il villaggio, non hanno sterminato solo la nazione, no, a questo tizio hanno sterminato tutto un pianeta (passato tragico), e finisce che lui è (quasi) l’unico sopravvissuto! Finisce sulla Terra e dai, almeno qui spacca di bbbrutto perché lui ci ha la super forza (ma super da sollevare un Boeing 747 con tanto di passeggeri e valige con una mano), ci ha il potere del volo, è invulnerabile, ci ha la vista a raggi ics e dei raggi che partono dagli occhi e distruggono le cose e il super udito e la voce super potente e un sacco di altre cose fighissime che se le elenco tutte non finisco più (poteri magici o abilità sovrumane (quando in contesto, poteri e abilità superiori a qualsiasi altro personaggio)). Non guasta poi che sia un gran bel vedere: alto, muscoloso, occhi azzurri, capelli neri, bel mascellone squadrato e sorriso da squeeek eccitati (bellezza straordinaria). Non solo! Lui è buono e tenero che si taglia con un grissino, dice sempre la verità, combatte per il bene e risparmia i nemici fetenti quando li sconfigge anche se loro sono stati proprio fetenti tipo che hanno rubato il plutonio radioattivo per costruirci una superbomba con cui minacciare la Terra e gli hanno pure quasi ucciso la ragazza nel frattempo (bello dentro e fuori). Ovviamente quando combatte contro i nemici fetenti, in qualche modo deve pure cavarsela: non viene mai ucciso lì su due piedi, viene sempre  prima intrappolato in complicati marchingegni che, sì, saranno pure fatti bene, ma ci mettono tipo tre quarti d’ora abbondanti a cominciare a ucciderti, quindi con un po’ di cervello e un pizzico di fortuna riesci a liberarti (botte di culo a go-go).

I più scafati di voi avranno già capito di chi sto parlando, tipo alla riga tre, ma per quelli che ancora non hanno capito, un indizio:

Superman è quindi una Mary Sue? Ha tutti, e dico tutti, i sintomi della perfezione. Perché allora Superman – nei limiti dei gusti personali – ci piace e Brittany Balthazar Argentlam Rossi ci irrita? Qual è il confine della perfezione accettabile?

Caratterizzazione

Il problema quindi non è la “perfezione” o “l’essere straordinari”, ma la perfezione e l’essere straordinari quando sono caratterizzati male. Praticamente tutti i protagonisti dei romanzi di genere sono straordinari almeno un po’, o succedono loro cose straordinarie, altrimenti avremmo racconti tipo Una tizia al supermercato (colpo di scena!, la commessa non c’ha più euri per dare il resto).

A pagina tre viene presentato l’acerrimo nemico: la vezza che paga in spicci da un centesimo!

 

Esistono molti tipi di personaggi caratterizzati male. Ci può essere la spalla comica che non fa ridere, il protagonista insulso, l’oggetto d’amore che non si capisce perché piaccia tanto (Twilight anyone?)… Diciamo che la Mary Sue è un sottogenere del personaggio caratterizzato male, cioè il personaggio caratterizzato da una perfezione distorta o male rappresentata. Un personaggio può essere perfetto e/o straordinario, ma la sua perfezione deve trovare solide basi di caratterizzazione, altrimenti scatta il fastidio.

Contraddizioni
Spesso le fanwriter, credendo che basti “attenuare” la perfezione del proprio personaggio per renderlo meno Mary Sue (cadendo quindi nell’errore “perfezione = Mary Sue”), ricorrono alla tecnica dell’antitesi, e a descrizioni tipo: “Brittany era di carattere schivo e taciturno, ma molto amichevole con chi riteneva degno della sua fiducia. Brittany non credeva nell’amore, ma quando si innamorava, amava davvero”. Maliziosa ma innocente, vivace ma pantofolaia, scherzosa ma seria, alta ma bassa, magra ma grassa. Le contraddizioni sono una delle caratteristiche più esilaranti delle Mary Sue. Ma chiediamoci ancora: contraddizione = Mary Sue?
L’essere umano è una creatura contradditoria per natura. Ci adattiamo alle situazioni un po’ per spirito di sopravvivenza un po’ perché, crescendo, impariamo con l’esperienza. Ogni essere umano ha in sé luci e ombre. Faccio un esempio tratto da un telefilm che mi ha presa molto, Boardwalk Empire, della CBS. Uno dei personaggi, di nome Nelson Van Alden, è un poliziotto federale per il controllo del proibizionismo, incaricato di indagare a Capital City. È un personaggio molto complesso, completamente votato al suo lavoro, dall’animo violento ma al contempo religiosissimo. Da una parte, scrive alla moglie lettere da dettato delle scuole elementari (Cara moglie, spero che questa lettera ti trovi in buona salute e di buon umore. Ricordati di far scorrere l’acqua dai rubinetti di tanto in tanto, perché la stagione fredda si avvicina e c’è il rischio che le tubature gelino. Con amore, Nelson), dall’altra ruba un nastro per capelli a una ragazza, se lo tiene in tasca, lo annusa voglioso in camera sua e si fustiga con una cintura per punirsi.
Le vie del Signore sono infinite…
Un personaggio a tutto tondo comporta delle contraddizioni. Nella vita non è tutto o bianco o nero. Capiterà spesso che il vostro personaggio debba mettersi in discussione. Un Cavaliere il cui ordine è votato alla caccia alle streghe, ad esempio, potrebbe scoprire che i maghi e le streghe non sono gli esseri malvagi che gli sono stati dipinti in anni di addestramento. Una persona onesta e fondamentalmente buona potrebbe trovarsi nelle condizioni di dover fare qualcosa di orribile: in Heavy Rain, ad esempio, a un padre di famiglia a cui hanno rapito il figlio verrà chiesto di uccidere una persona per poter rivedere vivo il proprio bambino (È curioso che abbia citato due videogiochi e un telefilm in un articolo che in teoria dovrebbe parlare di caratterizzazione letteraria). E qui si può aprire un’altra parentesi.

Da te non me lo aspettavo!

Un personaggio ben caratterizzato è come il tuo migliore amico: sai cosa aspettarti da lui in determinate situazioni. Attenti bene benissimo! Questo NON VUOL DIRE che il vostro personaggio sia banale! Distinguiamo bene bene bene la prevedibilità negativa da quella positiva.

 

 

 

Cliché (prevedibilità negativa). Lo scrittore presenta un personaggio stereotipato, ad esempio il classico cattivo alla James Bond. Lo sappiamo tutti che prima di sparare in fronte al nostro protagonista si metterà a fare uno spiegone sul proprio piano e sui perché e i percome sia diventato un genio del male.

Caratterizzazione (prevedibilità positiva). Lo scrittore presenta un personaggio caratterizzato, ad esempio, come irascibile e sanguigno. Il lettore impara a conoscerlo come tale, perciò quando succede, ad esempio, che un altro personaggio cerca di attaccare briga con lui, il lettore si aspetta che il protagonista reagisca in un certo modo, cioè buttandosi allegramente nella mischia. Un protagonista riservato e schivo, invece, avrebbe una reazione del tutto diversa. Questo si chiama orizzonte d’attesa del lettore e il fatto che il lettore abbia imparato a conoscere il vostro personaggio tanto da intuire quali saranno le sue reazioni a una data provocazione è solo un bene!

Potete anche divertirvi a spiazzarlo (e qui torniamo al discorso delle contraddizioni). Il vostro protagonista irascibile viene provocato da un altro personaggio che vuole fare a botte. Il vostro personaggio reagisce pacatamente e si rifiuta di combattere. Il lettore è spiazzato, non se lo aspettava. Perché ha reagito così? Cosa c’è dietro a un comportamento del genere? Il lettore è incuriosito e vuole proseguire per scoprire cosa sta succedendo.

(N.B. Ovviamente non vale usare il trucchetto dello straniamento a meno di ottime ragioni. Dovete creare curiosità, NON confusione)

Un’altro trucchetto efficace è quello del contrasto. Si presenta alla porta un uomo vestito di bianco, ben pettinato, rasato, con un sorriso amichevole e dai modi cortesi. Si scopre essere un tizio metodico, che ci tiene ad avere il sottobicchiere sul tavolino da caffè e che è appassionato di Harmony da edicola. Si dà il caso che sia anche un killer prezzolato della mafia, famoso per i suoi omicidi cruenti…

La banalità del male

 

Conflitto

Il motore che fa muovere i nostri personaggi è il desiderio. C’è chi desidera trovare una persona da amare, c’è chi desidera sopravvivere, chi desidera ritrovare se stesso, chi desidera comprarsi una merendina al cioccolato. Anche il desiderio apparentemente più debole e più banale può accendere la scintilla che fa muovere (o non muovere, e nell’immobilità c’è movimento) il personaggio. Il problema è che il desiderio da solo non basta a fare un buon racconto. C’è poca carne al fuoco in una storia dove Tizio ama Sempronia, le chiede di sposarlo e si sposano, fine. Allora abbiamo bisogno di qualcosa che si metta in mezzo tra il protagonista e la soddisfazione del suo desiderio, cioè un ostacolo (il principe ama la principessa, ma la principessa è chiusa in una torre sorvegliata da un drago). Il conflitto è la strada che il personaggio sceglie/che è costretto a scegliere per superare l’ostacolo. Il conflitto da una parte è ciò che rende interessante il racconto, dall’altra però è anche ciò che complica lo svolgimento della trama. Ad esempio: il principe deve raggiungere la principessa, MA c’è il drago davanti al cancello. Che può fare il protagonista per risolvere la situazione? E qui casca la Mary Sue.

 

 

A volte uno desidera diventare ricco e si impegna per diventarlo ma poi c’è la polizia.

Uno dei motivi che secondo me si trova alla base dell’amore per le contraddizioni è appunto l’incapacità di gestire un conflitto. Prendiamo uno schema romantico, alla base di una storia d’amore: Harry Potter si innamora di Brittany B. A. Rossi (desiderio) ma la nostra signorina Rossi è – ta-daan – incapace di provare sentimenti (ostacolo). La nostra autrice è in difficoltà. Come si fa ad arrivare alle scene uhmma uhmma, se la Brittany è una specie di pezzo di ghiaccio? Beh, basta dire che Brittany, sì, è una persona fredda, ma quando vuole è molto passionale. E con Harry naturalmente vuole! Problema risolto!

Un’altra conseguenza dell’incapacità di gestire il conflitto è la tendenza a scadere nella facilonata e/o nel deus ex machina, dando così l’impressione al lettore che a Brittany non ne vada male una. Il lettore medio può accettare una certa dose di botte di culo. D’altra parte, se fossimo nella vita vera per davvero, il protagonista medio dei romanzi di genere morirebbe dalle dieci alle quindici volte per libro. Diciamo che, in un certo senso, vale la teoria del “deve tirare a campare”. Se il protagonista mi crepa a pagina otto perché cade in una trappola tesa dagli orchetti che se lo mangiano per colazione, sai un po’, succede che il libro finisce. Tuttavia c’è modo e modo di tirare a campare.

Okay, grandioso. E allora come faccio a caratterizzare il mio OC pieno di contraddizioni e praticamente perfetto in tutto senza risultare fastidioso?

Se ci fosse una ricetta, saremmo tutti Mary Poppins, e non Mary Sue. Posso darvi però qualche dritta.

1) Show, don’t tell, ‘mostrare, non raccontare’. Dire che il vostro personaggio è coraggioso, bello, simpatico e intelligente, brillante ma modesto, attivo ma pantofolaio ecc. ecc. non vuol dire niente finché non lo mostrare. Evitate aggettivi vuoti come “coraggioso” e “bello” e “simpatico” e fate vedere perché il vostro personaggio è coraggioso, bello e simpatico. Mostrare invece di raccontare porta un sacco di vantaggi: il vostro personaggio guadagnerà in concretezza, e quindi anche in credibilità. Poi, oh, non è detto che anche a quel punto il lettore debba trovarlo simpatico. Non è detto che ciò che voi trovate divertente lo sia anche per il lettore, ma dovete correre il rischio e mostrare cosa intendete per simpatico, bello, divertente, intelligente, arguto ecc. ecc. Se poi il lettore non è d’accordo, amen. Sempre meglio che irritarlo a morte con pagine e pagine di aggettivi vuoti.

2) La perfezione ti fa venire voglia di gettare Lara Croft giù dalla rupe. Scegliete con attenzione i dettagli straordinari con cui volete pompare il vostro personaggio (Pimp My Mary Sue). Il fatto che Superman voli, ad esempio, ha una certa importanza per la trama, così come ce l’ha il fatto che sia l’ultimo della sua specie. Se avesse gli occhi viola, farebbe qualche differenza? È proprio fondamentale che il vostro personaggio parli serpentese come Harry o serve solo per far prendere male Draco in una scena e per fargli capire che “ehi, guarda che io non sono come tutti gli altri, io ce l’ho per l’altro verso”?

3) Non…

Oh, al diavolo.

Ho una mia personale teoria sulle Mary Sue. Secondo me, sono il grado 0 del fangirlismo. Cosa c’è di più puro, di più sinceramente appassionato, del desiderare di avere una proiezione di te stesso (ovviamente migliorata) nel contesto di un libro che ti è piaciuto? E magari una bella storia d’amore con il tuo personaggio preferito? E allora le storie romantiche “tipo” cominciano tutte nello stesso modo: la Emmesse appare dal nulla (una nuova studentessa a Hogwarts, una piratessa senza inibizioni sulla nave di Jack Sparrow, la terza ultima Sayan rimasta nell’universo) e ha una misteriosa missione, o tremendamente buona (l’unica in grado di aiutare Frodo a portare l’Anello, l’unica capace di uccidere Voldemort) o tremendamente cattiva (l’arma segreta dei Mangiamorte, l’esperimento di Lex Lutor, la reincarnazione della Dea della Guerra). Tutti i personaggi si innamorano di lei, ma solo Uno riuscirà a fare breccia nel suo cuore. Dopo una serie di scene epiche slegate tra loro (tensione sessuale a mille tra lei e il Capitano Kirk, lei che sconfigge Draco a Quidditch mostrando a tutti il proprio valore, lei che salva la vita ad Aragorn finendo ferita), lei e il protagonista preferito dell’autrice di solito pomiciano allegramente e si giurano eterno amore.

 

Finita la pioggia Licia si incontra e si scontra con Piton e cosìììì…

Questo era ed è ancora spesso ritenuto il punto più basso del fanwriting. Se scrivi di una Mary Sue, allora sei  uno sfigato, una ficcynara, una ragazzina patetica di dodici anni. Non hai il diritto di fare self-inserction, non hai il diritto di fantasticare sui tuoi personaggi preferiti, e ommioddio non puoi far separare Harry e Ginny per la tua Mary Sue perché NON È CANON. E allora la gente va a caccia di Mary Sue.

Cosa succede oggi? Che di Mary Sue non si parla più. Non sono scomparse, l’argomento viene tirato fuori di tanto in tanto. “Che pena le Mary Sue, che schifo, cosa odiate di più in una fanfiction? le Mary Sue!!! Anch’io!” e cose così. Anzi, ci sono persone che “ammettono” di aver fatto degli “errori” di gioventù, gente che rinnega le proprie creature, persone che scrivono saggi (!!!) su come evitare le Mary Sue (tipo io!). Quindi, lentamente, a poco a poco, le Mary Sue sono state in un certo senso “spurgate”. Non sono più la piaga del fandom. Non dico che siano sparite. Sono più sottili, anche perché “Mary Sue” spesso viene confuso con “Original Character fastidioso” (e invece OC fastidioso non è uguale a Mary Sue).

La moda del momento sembra essersi orientata su fantasie diverse. Se prima la fantasia era “IO… cioè, voglio dire, Elettra Camelia Gioconda Power Crystal Raven arriva a Hogwarts, mette a tacere Piton e fa innamorare di sé Harry Potter che la porta al Ballo del Ceppo e insieme sconfiggiamo… sconfiggono Voldemort” oggi è “Edward rapisce Bella, la chiude in cantina, la stupra ripetutamente ma lei è contenta.”

Ora mi chiedo: perché? Cioè, riesco a concepire il senso di una fantasia tipo “Harry Potter si innamora di me”. Non riesco invece proprio a comprendere il motivo per cui dovrebbe essere soddisfacente, rassicurante e appagante immaginare un uomo che sevizia una donna. Un rapitore, uno stupratore, un drogato che non riesce a uscirne, un festaiolo impenitente e puttaniere… dov’è il fascino in questi personaggi? Anzi, non nei personaggi, ma nelle loro azioni. Non è neanche un fetish. Non è “uuuh, mi piace il sesso violento e cattivo”. No. È più un “Edward rapisce e stupra Bella random ma in fondo è buono e lei lo capisce e lo accetta.” WTF. Dove sono le fantasie di una volta? Dove sono le dodicenni che immaginavano di fare la magie con Harry Potter? Mi andrebbe bene anche il matrimonio sfarzoso con Edward Cullen, per carità, ma… qualcuno mi spiega, per favore, perché lo stupro? perché la violenza? perché la vita da malavitoso? e perché questi personaggi sottomessi che pensano “ah, mi sta baciando contro la mia volontà, però è dolce e tenero e mi sta tenendo la testa perché sa che a me piace essere toccata così, quindi è bello”.

Non è mica solo una roba di Twilight, neh!

Quindi, riassumendo: no, le Mary Sue non sono il vero problema del fandom; sono semplicemente il risalutato di un processo mentale diverso. Mi spiego meglio: c’è chi scrive perché ama scrivere e perché ci tiene a fare un lavoro come si deve, e allora spende il proprio tempo libero a cercare di caratterizzare al meglio il proprio OC, e c’è chi invece scrive perché sogna di sposarsi Harry Potter e wow che figo sarebbe se fossi una maghetta anch’io che va a uccidere Voldemort. 

Se già vi siete posti il problema della caratterizzazione, congratulazioni!, il vostro OC ha le carte in regola per non essere una Mary Sue! (il che non vuol dire che automaticamente sia un bel personaggio, ma è già un passo avanti)

Se il problema non ve lo siete posto e non state leggendo questo articolo bla bla bla puzzate ah ah ah (tanto non lo state leggendo). No, scherzi a parte, se il problema per voi non si pone, se tutto ciò che desiderate è mettere per iscritto una vostra fantasia che comprende voi con un occhio viola e uno verde mano per la mano con Harry Potter, sapete cosa vi dico? Avete la mia benedizione. Divertitevi, scrivete e fate tanti pargoletti con Harry con un occhio verde e uno giallo e i capelli viola e chiamateli pure Fanfaronius II. 

Per tutti gli altri, voi che l’articolo l’avete letto con il cuore in gola perché “ommioddio, adesso salta fuori che ho scritto una Mary Sue”, se vi interessa l’argomento “caratterizzazione di personaggi originali e non” stay tuned! Arriveranno altri articoli.

Ora scusatemi, ma mio marito Ian e i nostri figli Precious e  Goldy vogliono fare una partita a Uno.

Tesoro, un momento, finisco di scrivere l’articolo e arrivo!

 

 


Il professor Jones, appassionato lettore del nostro blog e scrittore di fanfiction nella sezione RPF storici, ci ha letteralmente sommerse di lettere. “È una vergogna! Vi ho inviato da più di sei mesi il mio studio approfondito sul fenomeno delle Fanfiction Bellissime Ma Senza Recensioni! Non vi siete neanche degnate di dirmi che non vi interessa. Disdico l’abbonamento al vostro giornale.”
Dopo avergli fatto notare che il nostro non è un giornale, bensì un blog, e che il suo saggio non ci era arrivato perché lo avevano rubato i nazisti, il professor Jones si è un po’ rabbonito e ce ne ha mandata un’altra copia.
Ci scusi ancora, professore, ma cosa vuole farci! Sono nazisti, lasciamoli fare. È l’età.

 

 

Indiana Jones 

e
La Maledizione della Recensione Fantasma

Armiamoci di frusta, zaino e fedora e seguiamo le orme del professor Jones in quella palude purulenta che è Facebook. Ultimamente i gruppi dedicati al mondo delle fanfiction in generale e a Efp in particolare spuntano come funghi, dal giorno alla notte. Uno dei problemi che viene più spesso sollevato è il seguente:

Perché ci sono storie bellissime e interessantissime senza recensioni e storie orribili e noiosissime piene di commenti?

Da leggersi anche: “Perché nessuno mi recensisce e agli altri invece sì, gnè?”

Una recensione fantasma, proprio lì, vicino al petto sudato di Harrison Ford.

 

Bella domanda.

1) Perché magari la tua storia non è così bella come pensi.

Swissh, colpo di frusta! Sarà anche brutale, ma, ahimé, può essere la verità. La tua fanfiction non è bella, la gente non ti recensisce perché non supera il primo paragrafo e chiude la storia prima di averla finita. Questo dovrebbe rispondere anche alla domanda “perché il conteggio letture mi segna trecento e di recensioni ne ho solo una?” Perché aprono la pagina e la chiudono, non è detto che arrivino in fondo. Facciamocene una ragione.

2) Perché magari la tua fanfiction è molto bella, ma il fandom in cui pubblichi è poco seguito.

“Le fantomatiche avventure di Bibo e Giogo” lo guardavate solo tu e tuo fratello perché lo obbligavi. Non gli piaceva neppure. Le tue storie sono bellissime e ricche di significato, ma nessuno legge storie ambientate in un contesto che non capisce.

2 b) Perché scrivi in un fandom immenso, dove la gente pubblica tipo centinaia di migliaia di fanfiction al giorno, quindi è anche un po’ normale che la tua bellissima drabble finisca subito a pagina quarantacinque. 

Il professor Jones scrive fanfiction su fandom sconosciuti, che ha scoperto lui.

 

3) Perché magari non c’hanno lo sbatta a mettersi a recensire, ed è loro sacrosanto diritto.

E questo secondo me è il nocciolo della questione. Risponderò alla domanda con un’altra domanda, anche se non si fa (me lo diceva sempre mia madre, quindi sarà vero).

Perché si scrivono e si leggono fanfiction?

Perché è divertente. Perché c’è gente che accende la tivù e si guarda un film, gente che tira quattro calci al pallone, gente che scopre idoli d’oro in templi maledetti (professor Jones, tipo lei) e gente che preferisce scrivere e leggere. Il mondo è bello perché è vario.

Non dimentichiamoci una cosa, però. Il fanwriter è prima di tutto un fan, e poi di tutto anche un writer, uno ‘scrittore’. Facciamo ‘scrivente’, va’, che la differenza non è mica tanto sottile! Non tutti scrivono perché hanno a cuore le sorti della letteratura mondiale, a volte uno scrive anche solo perché gli piace l’idea che l’amicizia tra Bibo e Giogo non sia solo un’amicizia, ma sconfini nell’amore. Il professor Jones, che ha una cotta spaventosa per Cleopatra, scrive imbarazzanti self-inserction di sé nelle vesti di un aitante centurione romano (Indianicus Spartacus Jonesus IX) che si infila nel triangolo piccante Cesare-Cleopatra-Antonio. A ognuno il suo. E come il fanwriter può scrivere per semplice sfizio, così il fanreader può leggere le cose che vuole senza alcuna pretesa culturale e nessun obbligo. Magari a Tizio non interessa quanto sia bella e scritta bene una storia, gli preme solo che Bella e Edward alla fine facciano sesso. Punto. Gliene frega assai dei congiuntivi e delle metafore e della struttura. Bella, Edward, Sesso. Tutto qui.

E anche se fosse un cercatore di perle che passa le giornate a spulciare l’archivio alla ricerca delle storie migliori, è suo diritto dimenticarsi di recensire, non trovare il tempo per farlo, non avere voglia di farlo, non sapere cosa dire, essere timido, fregarsene altamente, non sapere che esiste la possibilità di recensire, non essere iscritto al sito, non avere le dita per digitare una recensione.

“Junior, non possono obbligarci a scrivere una recensione se non vogliamo!”

 

C’è anche la questione delle fantomatiche “storie brutte ma piene di recensioni, gnè”.

Prima di tutto, una mano sul cuore e l’altra sulla vostra cartella fanfiction, siete sicuri,  ma sicuri sicuri sicuri, che la vostra fanfiction sia migliore di quella che additate come “brutta ma piena di recensioni”? Ma proprio sicuri? Okay. Allora mettiamola così: se io ho cinque minuti liberi e una passione sfrenata per la coppia Draco/Hermione, ma sfrenata del tipo “La Rowling voleva farli finire insieme ma l’editore malvagio glielo ha impedito perché era una cosa troppo adulta” e/o “I nazisti hanno smarrito il vero manoscritto” (Maledetti nazisti!), può anche essere che non ho il tempo e/o la voglia di leggermi una storia di settanta capitoli dove il loro rapporto evolve lentamente ma in maniera assolutamente credibile e IC e dove tutte le sfaccettature morali e caratteriali e culinarie sono fighissime e con sottotrame incredibili e chi più ne ha più ne metta. Magari c’ho davvero cinque minuti, c’ho davvero voglia di leggermi solo la parte in cui fornicano e me ne strasbatto le palle di come viene descritta, tanto me la immagino io come pare a me e tanti saluti. Non ho nessun obbligo, ripeto, NESSUN. OBBLIGO. di cercarmi e farmi piacere le storie belle. Ma proprio nessuno.  Così facendo mi perdo delle cose fantapignose? Ma saranno un po’ fatti miei. Peggio per me, no?

Bitch please

Io scrivo e scrivo perché mi piace scrivere, non perché mi piace una determinata coppia o un determinato fandom. Quando ricevo una recensione, vado letteralmente in brodo di giuggiole. Lo giuro. Squittisco, arrossisco, emetto versi non umani e di solito chiamo a raccolta famiglia-amici-moroso-cane per mostrare le belle parole che mi sono state rivolte (sono molto molesta). La verità, però, e lo dico molto francamente, è che se non esistessero siti di fanfiction con la possibilità di recensire… scriverei lo stesso. Io scrivo perché amo farlo, condivido perché mi piace farlo, e se vengo premiata con una recensione, bene, benissimo, fantastico!, altrimenti amen. Non è il mio stipendio, non mi ci pago da mangiare.

Tra l’altro mi piacciono tutti i commenti. Non ci sono recensioni che valgono più delle altre, o meno, se è per questo. “Bella ficcy posta presto” può anche essere meno… massiccio rispetto a un commento di ottomila parole che tesse le tue lodi e incensa la tua storia,  però è anche vero che nessuno obbliga il recensore a scrivere un commento. È lui che spende un tot del suo tempo libero per dedicarlo alla tua storia; se il massimo che può offrire è “bella, continuala!”, okay! Sarebbe come pretendere da te, autore, storie di novanta capitoli. Tempo e voglia non valgono solo per te che scrivi storie, ma anche per chi scrive commenti.

Ah, c’è anche la questione degli amyketti (sic). Se io e la mia compagna di banco spariamo cazzate su Harry Potter durante l’intervallo, e poi la mia compagna di banco trascrive le nostre cazzate sottoforma di capitolo e lo pubblica su Efp, è mio sacrosanto diritto leggere lei e recensire lei piuttosto che mettermi a cercare le Storie Belle Senza Recensioni che per giustizia divina meriterebbero la mia attenzione. Magari uno si iscrive su Efp solo per recensire e commentare suo fratello, o magari si crea una piccola cerchia di autori appassionati di una certa coppia che si recensiscono a vicenda e si regalano fanfiction al compleanno e ignorano tutti gli altri Dante e Petrarca lasciati soli al freddo sul marciapiede.

“Io recensisco solo Mr. Jones!”

Detto questo, lo so, lo so. Io scrivo perché mi piace scrivere, ma magari tu, autore X, scrivi perché vuoi ricevere recensioni. E in ogni caso venire ignorati non è mai bello, dai. La soluzione però non è certo andare su Facebook o Tumblr o MySpace o Live Journal a piangere miseria. Presentare la mancanza di recensioni come un affronto e il recensire come un obbligo non solo è fastidioso, ma è anche controproducente. Uno che parla di “ingiustizia” e di “storie bellissime senza recensioni” non deve essere niente meno che perfetto, perché poi i lettori impietositi aprono il suo link, guardano la fanfiction Scritta Benissimo Senza Recensioni e dicono “Ma… non è poi così scritta benissimo…” E non recensiscono.

Come si fa a ottenere recensioni, allora?

Combattendo all’ultimo sangue!


1) Recensendo.

Se recensite tanto, è possibile che qualcuno incuriosito venga a fare un salto nella vostra pagina. Ricordatevi che dovete fare uno sforzo in più del solito e scrivere recensioni un po’ corpose (Ma Kuki! Hai detto che tutte le recensioni sono uguali!) (Sì, professor Jones, questo quando uno non vuole un tornaconto. Se vuoi essere recensito, ti fai lo sbatti di recensire come si deve, non è più solo un passatempo.), non per forza positive, ma ponderate e intelligenti, in modo da venire notato.

2) Partecipando attivamente alla vita del sito/forum/archivio dove pubblicate.

Partecipate alle discussioni nel forum, apritene di vostre, pubblicizzatevi nei luoghi appositi, iscrivetevi ai concorsi (e portateli a termine, furbetti che non siete altro), fate parlare di voi. Mi raccomando, vedete di scrivere cose intelligenti, non è  che tutto quello che vi esce dalla bocca è oro colato.

3) Facendo un po’ di PR in giro.

Facebook, Tumblr, MySpace, Blogspot, e chi più ne ha più ne metta. Internet offre un fottilione di modi per farsi pubblicità e per interagire con i lettori. Aprite un blog per offrire succulenti spoiler e per dialogare con chi vi legge. Linkate la vostra storia nei gruppi di fanfiction su Facebook. Aprite e amminstrate come si deve una pagina fan. Le possibilità sono infinite. Potete anche andare a piangere che nessuno apprezza il vostro infinito talento… scommetto che fino ad ora vi ha molto aiutati, vero?

4) Se siete Harrison Ford, sorridete. Sorridete e basta.

Ma Kuki, io non c’ho voglia di sbattermi a recensire gli altri e a fare PR.

E i lettori non c’hanno voglia di recensirti. Siete pari.

Ma Kuki, non c’è un modo più facile per ottenere le recensioni?

Puoi avere una bella botta di culo e venire subito notato dalle persone giuste senza aver mosso un dito per fare pubblicità. Comunque il metodo che ho proposto io non è così difficile come sembra. È più facile a farsi che a dirsi.

Kuki, ci metti un’altra foto di Harrison Ford che è tanto tanto tanto carino?

Ma basta chiedere!

 

Miei cari lettori, oggi sono proprio fuori dai gangheri. Avevo chiesto a quel lazzarone di Peter Parker di portarmi i nuovi primi piani dell’Uomo Ragno che aveva scattato durante la sua ultima bravata all’Empire State Building, e cosa mi combina quel ragazzino che pago sempre più di quanto vale?

“Signor Jameson,” mi dice, “Signor Jameson, c’è stato un problema con le foto dell’Uomo Ragno… Le ho portato questo articolo, di una certa Ottonovetre, la nostra amichevole fanwriter di quartiere. È un buon pezzo, boss. Sono sicuro che valga la prima pagina!”

E cosa potevo fare io di fronte a quella faccia di tolla di un Parker? Ho stracciato l’articolo in mille pezzi e glieli ho gettati in faccia con disprezzo. “Sei il solito tonto, Parker! Io ti chiedo una cosa e tu non sei neanche capace di fare il tuo stupido lavoro! Puoi scordarti la paga, razza di incapace che non sei altro!”

Parker se ne è andato via piangendo, e io mi sono messo a fumare il mio sigaro per calmarmi i nervi. Ho fissato per un po’ i pezzettini dell’articolo stracciato e alla fine, per passare il tempo, mi sono messo a riattaccarli con il nastro adesivo.

È venuto fuori, mi venisse un colpo secco, che l’articolo non era niente male davvero. Maledetto Parker, allora è vero che ha l’occhio buono… Ho deciso di pubblicarlo e di mandare a quella Ottonovetre un assegno di cinque dollari per la buona volontà, ma Parker sta fresco se pensa di vedere un centesimo su questo lavoro! Parola di Jonah Jameson.

Quello sfaticato di Parker che si crede uno scopritore di talenti.
 La Kukiness Production è orgogliosa di presentare
in
METAFORE E SIMILITUDINI

Ah, le metafore: croce e delizia del fanwriter. Non c’è figura retorica più abusata e bistrattata della metafora. Evitare figuracce facendone a meno, però, è la via dei pavidi: meglio sviscerarle e vedere cosa funziona e cosa no.

Iniziamo chiarendo la differenza tra similitudine e metafora: la similitudine è introdotta da termini di paragone (come, quale, sembrava, pareva…), la metafora è inserita nel testo senza questi avverbi. All’atto dello scrivere, la metafora risulta più evocativa della similitudine, perché l’immagine arriva al lettore senza “intermediari”. Anche a livello di struttura del periodo, le frasi sono più corte, quindi più dirette:

Mario è veloce come un fulmine.

Mario è un fulmine.

Quando usiamo metafora e similitudine?

In un testo di fiction (che è quello che ci interessa) le usiamo quando vogliamo rendere più chiaro il concetto da esprimere e le parole che useresti normalmente non si rivelano sufficienti. Insomma, come tutti i trucchi e le regole di scrittura, anche la metafora si usa per essere più efficaci nel comunicare.

Utilizzare la metafora è una sceltarischiosa, per l’autore: il lettore si sta addentrando nella storia e tu gli schiaffi all’improvviso un concetto che estranea il suo cervello e lo spedisce in un altro campo semantico. Prendiamo Mariangelo che ha deciso di raccontare la storia di Henry Borrows, famoso detective. Mariangelo descrive il detective mentre sta percorrendo i corridoi di una fabbrica abbandonata in cerca dell’assassino. Decide di dire che il detective era molto silenzioso e aveva un’aria minacciosa, quindi scrive “si muoveva come un leone che ha fiutato la preda”. Il lettore si stava calando in un corridoio lungo, scuro e polveroso, quando sbuca d’un tratto nel suo cervello il leone acquattato nell’erba della savana. Lo sforzo che il lettore vi dedica deve essere ripagato da un’idea più vivida di quello che volevate descrivere (in questo caso, Mariangelo ha scelto una similitudine talmente stra-abusata da suonare fastidiosa: ritenta, Mariangelo!).

Stiamo quindi rischiando di perdere l’attenzione del lettore. Chiediamoci sempre se ne vale la pena.

Mariangelo, non fare quella faccia.
ALARM!
ovvero, la sindrome del poeta

La cara wiki ci dice che “il potere evocativo e comunicativo della metafora è tanto maggiore quanto più i termini di cui è composta sono lontani nel campo semantico”. Vero, ma con riserva. Se scrivo che Maria piangeva “fiumi di lacrime” sto usando due termini vicini nel campo semantico ( lacrima = acqua, fiume = acqua ) e l’effetto sul lettore è “certo che si poteva sforzare un pochino di più”. Il bello della metafora è inventarsi un paragone simpatico, particolare, originale, meglio ancora se svela cose in più del personaggio che la usa. Il problema sorge quando spunta una brutta bestia chiamata “vena poetica” che produce alcune tra le perle più imbarazzanti nella carriera di uno scrittore: non è una buona idea inventarsi immagini troppo ardite: “Le perle cerulee che le solcavano le guance in una tragica rincorsa su strade selciate d’angoscia” non è poesia, è la strada più veloce (e nemmeno selciata d’angoscia!) per rendervi ridicoli.

Questa precisazione la faccio non perché sono una fanatica dello stile asciutto e odio la poesia e le figure poetiche, ma molto più prosaicamente perché scrivere metafore poetiche che siano anche efficaci E davvero evocative è difficile. Nella maggior parte dei casi sono solo immagini che, per molti motivi, suonano ricercate, ma se analizzate non vogliono dire nulla. Forse qualcuno di voi ha trovato interessante o poetica la frase sulle perle cerulee. Per vostra informazione, è stata concepita in una decina di secondi senza nessuno sforzo intellettuale. Confrontatela con i quaderni pieni di ripensamenti di Leopardi e riflettete se sono davvero parole poetiche e non, piuttosto, cose che “suonano bene” messe assieme da un generatore casuale.

Esempio di metafore ben fatte: ho scelto una canzone di Davide van de Sfroos perché ha buoni esempi di metafore evocative create con parole semplici.

Non è totalmente corretto da parte mia prendere una canzone, dato che stiamo parlando di narrativa. Epperò le canzoni di Van de Sfroos sono racconti, nel senso che c’è un inizio, uno svolgimento e una fine. È più produttivo per uno scrittore vedere esempi di metafore che accompagnano e fanno crescere la storia, rispetto a metafore che stanno lì a fare bella mostra di sé ma rigirano attorno a una situazione statica.

La canzone s’intitola “La machina del ziu Toni” (vi risparmio il dialetto, andiamo di traduzione): parla di un ragazzino che si trasferisce in città, ha successo ma perde la sua anima nei giochi del potere. Guardate come le metafore aiutano ilcantautore a trasmetterci questo concetto (in grassetto, similitudini e metafore):
Sulla macchina dello zio Tony
Senza capotta né copertoni
Col volante che si stacca
Col cuscino di pelle di mucca
Parcheggiata nel fienile
Con le galline sul sedile
andavamo ad ascoltare le musicassette
giornaletti tutti pieni di tette
Era un viaggio immaginario
senza marce senza fanali
con i Black Sabbath e la luna
sopra il tetto della cascina
sigarette e moccolotti e adesivi sul cruscotto
Sant’Antonio e i Rolling Stones
Padre Pio con i Ramones
Guarda come ballo bene
con gli anfibi e la cresta
la barbetta da rasta
e le toppe sul giubbetto
Sono il re della Zocca dell’olio
e qui in mezzo alla pista mi sembra che mi basti
Tutto quello che ho
e chissà giù in fondo al prato
che vita mi aspetta
quando apro il cancello
che strada farò e che macchina lucida
e che cilindrata
e chissà sul sedile qui di fianco chi si siederà
Piantato qui come un legno
a caccia di impiego
ho imparato a spazzare
ho imparato anche a scodinzolare
mordo i corni delle brioches
sopra un bancone appiccicoso
odore di asfalto, di prostituta
di carogna, di lavanda
A Pandora abbiamo rotto il vaso
Il coraggio lo abbiamo nel naso
tatuaggi come maori
ma nostalgia dell’oratorio
Siamo i draghi del fast food
travestiti da Robin Hood
gli stregoni della borsa
architetti di tutta questa farsa
Guarda come ballo bene
con i vestiti della festa
tanto il mondo è una crosta
finché puoi grattare
Guarda come gioco bene
con le carte della banca
col ministro e la torta
che si deve dividere
Facciamo a pezzetti le giornate come Sushi
ma l’odore che ci resta non è molto buono
Facciamo credere di avere mille spine
ma siamo come castagne sotto i nostri cappotti
Vagabondi delle strisce pedonali
profeti che guardano la sfera youtube
e chissà sul sedile dello zio Toni
che musica ascolta
chi c’è seduto
Guarda come ballo bene
con gli anfibi e la cresta
la barbetta da rasta
e le toppe sul giubbetto
Sono il re della Zocca dell’olio
e qui in mezzo alla pista mi sembra che mi basti quello che ho
Could you be loved
Could you be loved

La parti evidenziate qui sopra ci aiutano a imparare un altro concetto: riprendete le metafore che avete creato! Usate con fantasia il nuovo campo semantico che avete tirato in ballo (come al solito, anche questo consiglio portato all’eccesso provoca alti livelli di ridicolo) e fatelo in modi diversi: nella canzone, il ballo effettivo del primo ritornello (i ragazzini con le cassette nell’aia) si trasforma in metafora nel secondo (l’uomo d’affari che si giostra nella vita come in un ballo). Ancora, notate come l’autore ha tenuto conto della storia del personaggio sempre nel secondo ritornello: mangia il sushi, cibo “di città” pretenzioso, vagola per le strade e guarda i video di youtube in cerca di una profezia sulla sua vita. Le metafore, in questo modo, risultano concrete tanto quanto i pezzi in cui non si usano: possiamo vedere lui che attraversa la strada con aria smarrita, esattamente come vedevamo lui e i suoi amici a sfogliare i giornaletti sconci.

Per contrasto, leggete alcuni esempi di metafore ardite, dove le parole auliche la fanno da padrone e il concetto affonda nella nebbia (pardon, nella bruma mattutina che si alza dalle pozze torbide come piombo fuso degli autunni gallesi):

ostentando lo sguardo di chi pativa i preliminari della ghigliottina
voce che sfiorava le pendici della neutralità
mente partizionata in un’effusione carnale e tremula

Se qualcuno mi sa spiegare soprattutto la terza (a me viene in mente un cervello tagliato in due da un bisturi che rilascia materia grigia e se ci fai pic-pic col dito si muove) mi fareste un grande piacere.

ALARM! (2)
ovvero, metafore sotto le lenzuola

Accanto alle metafore poetiche, un altro momento in cui scivolare nel ridicolo è questione di attimi è nella descrizione delle scene d’amore: se “pene” e “vagina” ci catapultano in un libro di anatomia e “cazzo” e “figa” in un film porno, le arrampicate metaforiche per evitare questi termini suonano spesso peggio. Dato che non ci facciamo mancare nulla, a volte c’è la combo: metafora poeticissima per rendere indimenticabile la prima volta del vostro personaggio. Arg.

Mi sento di darvi un consiglio spassionato: parlate di quello che accade e lasciate perdere le metafore. In queste scene, meno ce ne sono meglio è. Ovvio, non è un divieto categorico: Hitchcock conclude “Intrigo internazionale” con un treno che, birichino, si infila in una galleria (però era Hitchcock). Se proprio dovete usarle, le regole che valgono sono le stesse che usate per scrivere bene: siate semplici, usate le matafore e le similitudini per chiarire e non per infiorettare, adattatele ai personaggi.

Spesso le metafore venute male possono essere prese pari pari e infilate in una parodia. Se i vostri amici leggono ciò che avete scritto e ridono, fatevi qualche domanda.

Esempi di metafore “rosse” interessanti

[1] Lui le bloccò i polsi, lei ringhiò.
– Calma, diavolo. È solo che non voglio che provi a spezzarmi il collo, – le mormorò all’orecchio.
Il ringhio diventò più basso, come quello di un gatto che fa le fusa.
[2] È così che sono io ad arrampicarmi su di lui, ad afferrare il suo collo come se stessi annegando. Per baciarlo.
[3] La donna con le calze rosse di seta, con i capelli rossi di seta, con il cuore rosso di seta voleva lui, il cacciatore sconfitto. Le mani di lei scivolavano sulla sua pelle, lo baciava con la sua bocca rossa di seta.
Quando quella donna voleva fare l’amore con lui non c’era più spazio per i pensieri. Sapere che lo desiderava era una vittoria talmente dolce che il sapore amaro della sconfitta non si sentiva più.

[4]Harry sorride sulle sue labbra, sentendosi all’improvviso sfrattare dal proprio stesso corpo, i muscoli e i tremiti che gli sciolgono lentamente le ossa.

Esempi di metafore secsi

[1] Me… me lo sta leccando come se stesse mangiando un gelato.
Proprio così!
[2] Le nostre lingue iniziarono a cercarsi, creando, con il loro movimento rotatorio, un vortice di desiderio.
[3] È come se avessi una lancia affilata dentro di me, bollente, che causa non solo dolore ma anche bruciore.
[4] lui che con una spinta abbatteva il mio cancello di giada
[5] Tronco di carne virile
Bene, abbiamo valutato i rischi, spruzzato il Vape sulla vena poetica e deciso che nella scena ci va una metafora. Come scegliamo la più adatta? Sempre con stampata in testa la Regola Aurea (la metafora chiarisce, non complica), vediamo cosa altro influenzerà la nostra scelta.

Chi sta parlando? È plausibile che tale personaggio dica una cosa del genere o suona ridicolo?

Ogni personaggio ha un PDV personalizzato, se lo abbiamo caratterizzato bene. Quando decidiamo di usare una metafora nel PDV di un personaggio, facciamo in modo che non stoni con quello che abbiamo costruito nella storia. Un rude soldato non dirà che la donna che ha visto ha un profumo soave come le fragranze al bergamotto e lillà di quella botteguccia di Parigi, un bambino non userà paroloni complicati. Inoltre, come accennavo prima, usate le metafore in modo furbo! Fate capire chi sta parlando, lasciate che anche le metafore che usa parlino di lui. Il nostro soldato userà scenari di guerra, armi, situazioni che ha vissuto come termini di paragone.

Angolino del signor Lapalisse: siete voi e non io a conoscere il personaggio. Ovvio che ci potrà essere il soldato figlio del commerciante di profumi, così come un bambino genio che recita la Divina Commedia al contrario. Il succo è che la metafora deve essere plausibile in bocca a chi la dice.

Dove siamo? In che epoca?

Il nostro personaggio si muove in un ambiente particolare. Evitate errori plateali, come mettere metafore che contengono espressioni moderne in una storia ambientata nel medioevo, o mescolare le culture. Anche qui, usate una difficoltà iniziale (informarsi prima di scrivere e non andare “a orecchio” o a frasi fatte) per particolareggiare la vostra storia e far immergere il lettore nell’atmosfera!

ALARM! (3)
ovvero, caratterizzazione non vuol dire scadere nella macchietta
Riguardo ai due punti precedenti, non cadete nemmeno nell’errore opposto, ovvero la “sovracaratterizzazione”: le metafore possono essere vostre preziose alleate nel caratterizzare un personaggio, ma non fissatevi sull’unica idea che avete avuto per reiterarla troppo spesso.
Il soldato non vedrà tutto il mondo a forma di mitra, il giapponese non se ne andrà in giro a dire a tutte le ragazze che sono belle come i ciliegi del Kiyomizudera al principiare di aprile. 
Va’ come principiava l’aprile.
 
La sovracaratterizzazione sbuca come un insetto rognoso quando state facendo parlare lo stereotipo del vostro personaggio e non il vostro personaggio. Siamo sullo stesso livello dei cinesi che parlano con la elle e del siciliano che mastica limoni e gira con coppola e lupara.
Uccide più il cliché che la pistola
Esempio buono:
Hermione sorrise nel vederlo allontanarsi di corsa, neanche fosse stato inseguito da un ippogrifo imbizzarrito. Mentre anche l’ultima ciocca platinata scompariva dietro la porta d’ingresso della biblioteca, Hermione capì che avrebbe avuto bisogno di tutta la gentilezza, polso fermo, buona volontà e perseveranza di cui disponeva per aiutare il ragazzo. 
In fin dei conti Draco Malfoy non era molto diverso da un elfo domestico.
L’autrice qui sfrutta il fatto che ci troviamo nel fandom di Harry Potter. Inoltre, c’è tutta la buona volontà di Hermione nel non odiare Malfoy ma di imputare il suo comportamento all’ignoranza (come gli elfi domestici, che non chiedono la libertà solo perché male informati).
Esempio cattivo:
Il meriggio è trascorso da circa sei o sette ore, ma l’estate lascia suo figlio Apollo giocare con il carro più del solito.
Qui chi parla è un ragazzo normale di diciassette anni e siamo nei tempi moderni. Alzi la mano chi dice “meriggio” e chi pensa ad Apollo che lascia giocare Fetonte quando le giornate estive si allungano. Stampigliatevi il motto “parla come mangi”.

Che effetto voglio ottenere?

Come si diceva più su, la cosa peggiore che potete ottenere è che la vostra tragedia faccia ridere o che la vostra commedia faccia piangere. Sia che scriviate commedie sia che scriviate tragedie, le metafore vi saranno utili, con qualche accorgimento.

Caso 1: la vostra storia è seria. Per seria intendo che non è vostra intenzione far ridere la gente quando legge quello che avete scritto. In questo caso valgono i consigli esposti qui di sopra: chiarezza, personalizzazione, semplicità.

Caso 2: la vostra storia è comica. Se siete amanti delle metafore, ho buone notizie per voi: nelle storie comiche potete rispolverare tutto quello che vi ho vietato in precedenza! Ora però mettete via le faretre di aggettivi, che c’è l’iridescente che mi guarda male… Dicevamo, se state scrivendo una storia comica potete tirare fuori le metafore poetiche di cui sopra, perché avranno finalmente un senso come parodie. Il succo della parodia è portare gli elementi caratterizzanti della metafora all’assurdo o al grottesco. Via libera ad aggettivi improbabili e paragoni azzardati. Questo non vuol dire che le parodie e le storie comiche siano facili da scrivere. Come con le metafore “serie”, anche qui è questione di allenamento e occhio. Esagerare troppo non è più divertente, così come al decimo aggettivo il lettore non ride più, si sta chiedendo quando finirà la frase.

Esempio di parodia della metafora aulica:
Draco amava la Mezzosangue come un insignificante pesce in una boccia di vetro poteva amare la raffinata carta filigranata; con lo stesso totalizzante sentimento, silenzioso nel suo grido d’impotenza, ma disarmante nella purezza della propria emozione. Perché su di lei poteva scrivere boccheggianti versi d’amore senza voce, filtrati da quella trasparente prigione che permetteva a lui di guardarla, ma non di bagnarla, perché su di lei avrebbe potuto vergare tacite lettere dorate, nonostante fossero le sue stesse pinne ad impedirlo, costringendolo nell’immutevole statica fluttuanza dell’acquario. 
Lui era il pesce rosso, lei la carta filigranata. E così sarebbe stato per sempre.
Un altro modo di sfruttare la metafora, nel genere comico, è legarla all’anticlimax (partire da un concetto alto per arrivare a uno basso). Altro trucco è l’iperbole: esagerare il concetto che si vuole trasmettere.
Esempi di iperbole e anticlimax:
Una delle due si girò ed al giovane industriale si fermò il cuore: pareva un angelo biondo sceso sulla terra, leggiadra come una fata, aggraziata come una principessa, gnocca come Pamela Anderson.
Il controllore sfoderò un altro dei suoi viscidi sorrisetti. Anche Ikki sorrise, ma si sentiva come se una banda di foche monache gli stesse sguazzando nello stomaco.
con i suoi occhioni lucidi che sembrava un venditore di cipolle interista.
– Come ti vengono certe idee, è impossibile… – gli fece Ikki con una voce da madama Butterfly.
Apollo in quel preciso istante stava uscendo dalla sua jacuzzi di centotrentadue metri di diametro dotata di idromassaggio di bollicinosità pari a quella contenuta in una fabbrica di coca cola in un tornado
– Ehi sorella, quello lo mangi? – gli domandò avvicinandoglisi un ragazzo grasso e alto, con un panino al mascarpone e soppressa in una mano e un tubo di carta con abbastanza erba da rifare il tappeto di san Siro nell’altra.
– Oh, mi scusi! – cinguettò, anche se sembrava più un passero lottatore di sumo che un leggiadro usignolo.
E concludiamo (alè!) l’articolo con la somma minima di quello che ho sbrodolato in 3000 parole (diamine, manco le mie fic vengono così lunghe): metafore e similitudini non sono Il Male, a patto che servano al nostro scopo, ovvero raccontare una storia. 
____
Le storie da cui sono stati tratti gli esempi
Time Out, di Jakefan [Twilight]
Elfo domestico, di Vannagio [Harry Potter]
Solo per questa volta, di ursuspov [Saint Seya] 
Che poi se la gente comincia a scrivere articoli così belli per me, poi la gente pensa che questo sia un blog serio.
[Kukiness] 

SIGLA!

 

Succede così, che un giorno sei lì, guardi la tivù e in una pubblicità passa un sottofondo musicale che ti piace da matti. È la pubblicità dei Cornetti Algida, ma chissenefrega, il motivetto è orecchiabile. Meno male che hanno inventato Internet!

Tu su Google

PUBBLICITÀ CONRETTO CANZONE

Google a Te

Forse cercavi CORNETTO? Comunque ti ho trovato un po’ di canzoni.

Eccolo lì! Un bel riquadro di Youtube che ti manda alla canzone che cercavi! Sono gli… gli… Audio Bullys? Mai sentiti. Bella lì, però! La canzone è proprio una figata. Scorri i commenti.

Commenti a Te

Thumbs up se siete qui grazie al Cornetto Algida! :D :D

E tu lo sei! Yeah! Subito su il pollice. Poi leggi i commenti successivi:

Che tristezza quelli che hanno trovato la canzone del Cornetto!

Cosa, quale pubblicità? Io questa canzone la conoscevo perché gli Audio Bullys sono grandiosi, che cazzo c’entra il Cornetto?

Io manco guardo la televisione, perché manda in pappa il cervello!

Chi sono questio ignoranti????

E tu ti senti per QUALCHE STRANO MOTIVO triste y colpevole.

:(

Ma chi sono questi Feroci e Arrabbiatissimi utenti di Youtube? E loro alla canzone come ci sono arrivati? Non ti preoccupare, mio piccolo lettore! Questo post è dedicato proprio ai Rage Fan, ossia a quegli utenti di Internet che provano un piacere strano e perverso a urlarti in faccia quando sbagli qualcosa/quando loro pensano che tu stia sbagliando qualcosa.

Questo articoletto nasce da una breve visita su un forum dedicato al Doctor Who. Per chi non lo sapesse, il Doctor Who è una serie televisiva della BBC che nasce tanto tanto tempo fa, quando la Terra era piatta. Tipo nel 1963. Il Nono, il Decimo e l’Undicesimo Dottore, però, sono piuttosto recenti, quando le medicine erano già state inventate, cioè nel 2005.

Il Decimo Dottore in un suo momento di…

Oooora.

Prima del 2005, l’ultimo film del Doctor Who era uscito tipo nel 1996. Significa che la nuova generazione di spettatori difficilmente ha visto la serie classica, ma ha cominciato proprio con i Dottori moderni. I Nuovi Dottori sono fatti apposta per poter essere guardati, seguiti e capiti anche da chi non ha visto le serie classiche e per avvicinare le nuove generazioni al programma: attori di aspetto gradevole, giovani, in grado di girare scene d’azione, un po’ di romanticismo e via discorrendo.

Pensate di essere uno dei nuovi fan.

Voi nei panni di un fan

Uh! Che carina questa serie, il Doctor Who! Mi piace proprio. Grazie, Internet! Mi dai la possibilità di iscrivermi a un forum e di parlare con altri fan come me delle cose che ci piacciono. Ciao, altri fan come me! Sono un super fan del Dottor Who! Che simpatico il Dottore! Tennant è fantastico! Mi fa morire dal ridere. È il mio dottore preferito. Voi che ne pensate?

Dopo due o tre risposte normali tipo “È anche il mio preferito!”, “No, io preferisco Smith, perché ha il farfallino!”, “Sì, però che triste la cosa di Rose… :(” ecco che arrivano loro: I RAGE FAN!!!

Li senti avvicinarsi perché le imposte sbattono, il termostato crolla e il cane ulula alla luna.

 

 

COSA COSA COSA odono le mie orecchie? Cosa vedono le mie fosche pupille? SUPER FAN? Come osi definirti super fan se non hai visto la serie originale? E come puoi dire che Tennant sia il migliore? E Baker? VUOI METTERE CON BAKER? Ma cosa parlo a fare con te, che guardi il Doctor Who solo per gli attori carini! Triste la cosa di Rose? Nessuno si ricorda mai di Adric! Quello sì che è triste? Come puoi dire che quella cosa è triste se…

E così via e via discorrendo.

Oh, non fate quelle facce. Non è mica un problema solo dei fan del Dottor Who. Vogliamo parlare dei fan di Monkey Island?

Monkey Island è una avventura grafica creata dalla LucasArts durante l’Impero Romano, cioè nel 1990. I primi due capitoli, che si susseguono a distanza di un anno, sono tipo le più belle avventure grafiche EVER, e sono state realizzate con l’apporto di Ron Gilbert, Tim Schafer e Dave Grossman. La vera mente del progetto era Ron Gilbert, che creava degli enigmi fantastici, divertentissimi e difficilissimi da risolvere.

Okay. Dopo il secondo capitolo, Ron Gilbert se ne va. Il terzo e il quarto capitolo della saga sono affidati ad altre persone e, oggettivamente, non riescono ad arrivare ai livelli di Gilbert. Tuttavia, se sei nato negli anni Novanta è più probabile che tu abbia giocato al terzo capitolo, che è del 1997 (anno della scoperta dell’America) ed è su cd-rom e non su floppy-disc (a meno che tu non abbia genitori nerd come me che giocavano a Monkey Island su floppy). Anche il quarto è su cd, è del 2000 (anno della nascita delle macchine volanti e dei viaggi nello spazio).

Ora, lo scopo è RISOLVERE ENIGMI. Okay? Raccogli oggetti stupidi, li metti insieme, crei oggetti ANCORA più stupidi e li usi per aprire porte, per convincere scimmie a seguirti o per rubare reggiseni ai pirati (true story). Immaginate di essere dei nuovi fan di Monkey Island:

 Ah, che difficile questo enigma! Grazie, Internet, che mi dai la possibilità di iscrivermi a un forum e di chiedere aiuto ad altri fan come me! Ciao, altri fan come me! Sono una grande fan di Monkey Island! Sto giocando alla Maledizione di Monkey Island e mi piace un sacco! Sono bloccata in un punto: non so come convincere i pirati a unirsi alla mia ciurma. Qualcuno mi aiuta a risolvere il problema?

Si sentono dei passi pesanti in lontananza. I cavalli nitriscono, le porte sbattono, i pesci rossi saltano fuori dalla boccia.

COME OSI DEFINIRTI UNA GRANDE FAN DI MONKEY ISLAND? Se non hai mai giocato in 8-bit è COME SE NON AVESSI GIOCATO! Non sono veri MI quelli che non sono stati supervisionati da Gilbert! E cosa chiedi aiuto per il terzo che è facilissimo?

E così via e via discorrendo.

Vogliamo parlare dei fan di Harry Potter?

 Adoro i film di Harry Potter!

I lampadari tintinnano, gli uccellini scappano, il cielo è spaccato in due da un fulmine.

 IO PIANGEVO LA MORTE DI FRED WEASLEY PRIMA CHE TU IMPARASSI A CAMMINARE! Ops, ti ho fatto uno spoiler dell’ultimo film! LOL! Così impari a non leggere i libri. Mettete mi piace se anche voi pensate che chi ha visto solo i film non capisce niente di Harry Potter perché la Saga della Rowling nasce come libro e chi va a Roma perde poltrona e la gattina frettolosa ha FATTO NASCERE I GATTINI BABBANI!!!!

Gattino babbano costretto a usare armi non magiche

Qualcuno, per favore, mi spieghi cosa c’è all’origine di tutta questa rabbia nei confronti dei “nuovi fan”. Perché spaventate i nuovi fan, maledizione? Sono piccoli! Si spaventano e poi scappano. Poi vi lamentate che le vostre serie sono poco seguite e poco apprezzate dal pubblico. Eccicredo! Spaventate a morte tutti quelli che osano avvicinarsi al vostro Tempio Sacro della Conoscenza.

Santo cielo!

Invece di essere contenti che qualcuno ha scoperto la cosa bellissima di cui voi siete fan! Siete senza cuore. Accogliete i poveri niubbi! Non importa se sono arrivati alla vostra canzone preferita perché la davano come sottofondo musicale di  una pubblicità di assorbenti! Non importa se hanno visto prima il film e poi letto il libro e non importa se hanno cominciato a guardare la serie perché c’era il loro attore preferito. Poi al massimo, se gli piace, guardano anche le altre puntate, giocano agli altri giochi, ascoltano il resto del cd e IMPARANO. Comprano i libri di Harry Potter, pagano il biglietto del cinema, spendono soldi sonanti per avere i cd e fanno più ricchi quelli che producono le cose che vi piacciono.

Non maltrattate i niubbi!


 

Un modo sicuro più o meno al 100% per sapere se una fanfiction vale la pena di essere letta è quello di osservare l'(ab)uso di riformulazioni del nome proprio. Ecco, cominciare un post con una parola come RI-FOR-MU-LA-ZIO-NE è un modo altrettanto sicuro di perdere l’attenzione dei lettori alla prima frase. Cos’è questa brutta parola, la riformulazione? Facciamo un esempio alla Professor Spiegoni:

«Harry, la verità è che io…» disse Ginny, «devo parlarti.»
Harry inarcò un sopracciglio e guardò l’ultima nata di casa Weasley negli occhi.
«È successo qualcosa?» domandò il moretto, con voce apprensiva. «Sei pallida. Che succede, qualcuno ti ha fatto del male?» Il grifone storse la bocca in una smorfia.
«No no,» disse la rossa, abbassando lo sguardo. «No, non ti preoccupare.»
«Ginny, non mi tenere sulle spine!» incalzò il Cercatore Grifondoro, posando le mani sulle spalle della giovane. «Che cosa devi dirmi?»
La ragazza tornò ad alzare lo sguardo sul volto preoccupato dell’amico.

Allora!

Qui abbiamo due personaggi che dialogano, nello specifico Harry Potter e Ginny Weasley. Apparentemente niente di più semplice, no? Quindi qual è il problema di questo brano? Che i personaggi non sembrano due ma DIECIMILA. E questo a causa delle riformulazioni! Le riformulazioni sono infatti quel “moretto”, “rossa”, “Cercatore Grifondoro”, “la ragazza” e “l’amico”; si riferiscono tutti o a Harry o a Ginny e cercano DISPERATAMENTISSIMAMENTE di non ripetere il nome proprio del personaggio.

Questa tendenza è una spia di ingenuità stilistica. Ricorrono alle riformulazioni quegli autori che si ingarbugliano nel proprio stile e nella propria sintassi e non riescono a trovare una soluzione più pulita e più intelligente della riformulazione. Notare che questo brano l’ho scritto io di mio pugno quando avevo circa… quindici anni? O giù di lì. L’ho giusto un filo esagerato per l’esempio, ma c’erano un sacco di riformulazioni comunque. Nessuno nasce imparato. Non ti svegli la mattina consapevole del tuo stile e della sintassi del mondo. Per questo parlo di “ingenuità” e non di “ignoranza” o “stupidità”. Passiamo tutti la fase del “il moretto guardò negli occhi il biondo Serpeverde”… prima o poi qualcuno ci allunga un manuale di stilistica e a quel punto la smettiamo. Forse…

A questo punto tutti abbiamo capito che cos’è una riformulazione. Ma perché quando ne troviamo una dobbiamo gridare ORRORE ORRORE? Vediamo insieme quali sono i motivi per cui le riformulazioni vanno evitate come la peste.

Uno dei motivi per cui si arriva alla necessità di usare le riformulazioni è il non sapere gestire un dialogo o una scena descrittiva. Proviamo infatti a sostituire tutte le riformulazione dell’esempio sopra con il nome proprio del personaggio che compie l’azione. Vediamo se il brano migliora oppure no:

«Harry, la verità è che io…» disse Ginny, «devo parlarti.»
Harry inarcò un sopracciglio e guardò Ginny negli occhi.
«È successo qualcosa?» domandò Harry, con voce apprensiva. «Sei pallida. Che succede, qualcuno ti ha fatto del male?» Harry storse la bocca in una smorfia.
«No no,» disse Ginny, abbassando lo sguardo. «No, non ti preoccupare.»
«Ginny, non mi tenere sulle spine!» incalzò Harry, posando le mani sulle spalle di Ginny. «Che cosa devi dirmi?»
Ginny tornò ad alzare lo sguardo sul volto preoccupato di Harry.

Uhm. Vi sembra meglio dell’esempio numero uno? No? Eppure ho tolto tutte le riformulazioni! E allora perché il brano continua a fare schifo?

Semplice. Il problema non sono le riformulazioni, ma ciò che ci spinge a usarle; il brano è INFARCITO di parole e di specificazioni inutili. Ad esempio:

Harry inarcò un sopracciglio e guardò Ginny negli occhi.
«È successo qualcosa?» domandò Harry con voce apprensiva. «Sei pallida. Che succede, qualcuno ti ha fatto del male?» Harry storse la bocca in una smorfia.

Harry di qui e Harry di lì. L’abbiamo capito che il soggetto è Harry. Andiamo giù di ellissi.

Harry inarcò un sopracciglio e guardò Ginny negli occhi.
«È successo qualcosa?» domandò, con voce apprensiva. «Sei pallida. Che succede, qualcuno ti ha fatto del male?» Storse la bocca in una smorfia.

Ta-daan. Se il soggetto è chiaro, si può usare l’ellissi e non specificarlo. Ovviamente, fate attenzione all’ellissi facile: il soggetto deve essere chiaro, altrimenti non specificarlo crea confusione.

Harry e Ginny si guardarono. «È pesante la borsa?»
La soppesò con un braccio. «No, dai, ce la posso fare.»
Sorrise. Era molto più semplice così.
«D’accordo. Possiamo andare?»
«Okay. Dove mangiamo?»
Fece spallucce. «Non so, dove preferisci.»

Chi dice cosa a chi, maledizione!

La radice del problema quindi è questa: se non sappiamo gestire bene il periodo, rischiamo di ingolfarci e di rimanere sommersi da dodicimila specificazioni. A quel punto ci facciamo prendere dal panico (“Ommioddio, ho ripetuto Harry due volte a distanza di due righe!!!!”) e cerchiamo di mettere una toppa là dove crediamo esserci il buco. Ma la toppa è peggio del buco, perché:

1) le riformulazioni, esattamente come i dodicimila nomi propri, sono specificazioni inutili. Tutto ciò che è inutile e sovrabbondante ANNOIA e disperde l’attenzione del lettore;

2) le riformulazioni creano confusione. Harry è Harry, Ginny è Ginny, se cominciamo ad aggiungere “grifoncina”, “moretto”, “Sfregiato” e chi più ne ha più ne metta il lettore rischia di confodersi! Pensate a una situazione in cui tutt’e due i personaggi sono giovani uomini, con lo stesso colore di capelli: che facciamo, ci spariamo?

Matteo sorrise. «Mi piacerebbe vederlo.»
«Non so se ti conviene,» rispose Luca. «Non è un bello spettacolo!»
Il giovane annuì. «Ma ormai mi hai incuriosito! Dai! Portamici!» disse, dando una pacca sulla spalla del ragazzo.
Lo studente sospirò. «Okay, ma solo perché sei tu.»
Il ragazzo lo guardò negli occhi. Non poteva dire all’amico quello che pensava davvero, perché sapeva che il giovane non avrebbe accettato il suo punto di vista.

Cheffatica.

3) il punto di vista, questo sconosciuto. Prendiamo un brano scritto in terza persona limitata:

Harry entrò in Sala Comune. Hermione era sdraiata sul divano a occhi chiusi. Aveva un libro aperto sulla pancia che andava su e giù al ritmo del suo respiro. Harry sorrise. Non gli capitava spesso di vederla così rilassata. L’immagine che aveva di lei di solito riguardava grossi libri e appunti scritti in grafia piccolissima.

Se il punto di vista è ben piantato nella testa del personaggio, è come gestire una telecamera ad alta precisione. Il lettore sa di trovarsi nella testa di Harry e sa che Harry sta fissando Hermione che dorme. Meglio manovriamo la telecamera, più facile sarà far capire al lettore chi sta parlando e di cosa.

Inoltre, se vogliamo essere puntigliosi, Harry non penserebbe mai a se stesso come “il Grifondoro” o “il Cercatore”, come non penserebbe di Hermione che è “una moretta” o una “riccia”, no?

“Ma Kukiness,” direte voi, “Harry non pensa a se stesso nemmeno come Harry!”

Harry fame! Harry panino! Accio panino!

E avete ragione, miei piccoli lettori! Le persone, infatti, pensano più per immagini e per impulsi che per parole, e anche quando pensiamo per parole non stiamo lì a fare la radiocronaca di tutte le nostre azioni – è una dei grandi problemi dei lettori di menti!

Mettiamola in questo modo:

quando scriviamo, il nostro primo obiettivo è quello di comunicare al lettore qualcosa. Se il lettore non capisce quello che sta succedendo nel romanzo, è un bel problema. È uno dei limiti della gestione della prima persona: da una parte abbiamo la necessità di far capire al lettore cosa succede scrivendo in maniera limpida e comprensibile; dall’altra, tutto ciò che facciamo fare al nostro personaggio si ripercuoterà sulla sua caratterizzazione. Pensate a una madre che assiste alla morte del figlio, investito da un’auto: da una parte, dobbiamo riprendere questa scena per far capire al lettore che cosa succede; dall’altra, che razza di persona rimarrebbe a guardare i dettagli della morte del figlio e li descriverebbe minuziosamente nella propria testa? Dobbiamo bilanciare quindi la necessità di esprimerci chiaramente e correttamente e quella di caratterizzare in maniera efficace i nostri personaggi.

Vi faccio un altro esempio. Se il nostro protagonista fosse un benzinaio che possiede solo la licenza elementare, nel momento in cui lo facessimo entrare in una cucina di un hotel, ad esempio, non potremmo scrivere:

Bob prese una sac à poche e si chiese a che diavolo servisse.

Bob non conosce il termine “sac à poche”! O magari sì, perché pur essendo un benzinaio che non è andato a scuola segue tutti i giorni la rubrica di Benedetta Parodi. Ma in questo caso Bob non lo sa.

Lo stesso potremmo dire di Bob che si incontra per la prima volta con Ted.

Bob entrò nella cucina di soppiatto. Aveva una fame da lupi e non vedeva l’ora di saccheggiare il frigo.
“Fermo lì!” gridò una voce.
Bob si voltò e vide Ted che brandiva una padella per minacciarlo.

Bob non conosce Ted! È la prima volta che lo vede. Come fa a sapere che si chiama Ted?

Lui sarebbe un perfetto Bob, se in realtà non fosse Nick Frost.
Ted lo farebbe Simon Pegg.

Torniamo a Harry Potter, che è ancora lì ad aspettarci da tipo ventisette paragrafi.

Dicevamo: verosimilmente, Harry non pensa a se stesso come “Harry”. Vero. Ma nella terza persona limitata abbiamo comunque il filtro del punto di vista che ci aiuta e la necessità di far capire al lettore chi dice cosa e chi fa cosa. Nella prima persona, il verbo coniugato in prima persona singolare ci aiuta a capire chi parla e chi fa cosa senza bisogno di specificare il soggetto “io” (a meno che non ci sia una ragione enfatica):

Prendo il giornale e lo sfoglio fino alla pagina sportiva. «Non mi interessa.»
Giulia mi guarda in tralice. «Come fai a essere sempre così distaccato?»
«Non sono distaccato.» Sorrido. «Solo ragionevole.»
«Potresti andarci tu,» disse Luca.
Ma io non avevo intenzione di andare da nessuna parte!

Nella terza persona, invece, i verbi non aiutano a capire chi stia parlando (tutto è coniugato alla terza persona singolare, senza distinzione). Perciò è necessario esplicitare che a dire e fare certe cose è Harry, non qualcun altro.

Quindi: soddisfiamo la necessità di essere chiari (e specifichiamo quindi al lettore chi compie l’azione) e tendiamo il più possibile alla verosimiglianza (Harry non pensa a se stesso come al “moretto”).