Write drunk, edit sober. (Ernest Hemingway)

Archivio dell'autore: kukiness

SIGLA!
Ah, i piccoli paesi. Quelli dove nugoli di vecchie pettegole ronzano intorno al marciapiede e se passi di lì smettono di parlare e ti fissano o se passi con la macchina smettono di parlare e guardano dentro per vedere chi sei. Quelle che sanno tutto di tutti, e chi è morto e chi si è sposato e chi mette le corna a chi e anche cos’ha mangiato a colazione prima di cornificare quello che si è sposato e poi è morto, che tragedia, signora mia.
Facebook è uguale.
Dei pettegoli si dice che non abbiano niente di meglio da fare che parlare della vita degli altri. E di quelli che dopo aver letto 50 sfumature di grigio si sentono in dovere di comunicare al mondo quanto fa schifo e non parlano d’altro per settimane? Cosa diavolo e quanto poco  leggono per sentirsi per sul serio umiliati e offesi da un libro del genere?
È un fenomeno curioso e ciclico. Ogni tot, qualche cagna maledetta pubblica un libro e il libro fa cagare, ma viene pubblicizzato come se non ci fosse un domani. L’altro ieri era Federico Moccia, ieri era Fabio Volo, adesso arriva la E.L. James. Questi lettori della domenica annusano la cagna maledetta da chilometri e ogni volta è come se fosse la prima.
Ah vergogna. Ah indignazione. Ah sacrilegio. Che tragedia, signora mia, hanno pubblicato un brutto libro. Se ne rendo conto? Ma mica brutto come tutti, più brutto degli altri, glielo dico io signora mia, che leggo un sacco, proprio ieri ho finito la saga di Harry Potter.
E Facebook impazzisce, e durante la notte, come funghetti velenosi, spuntano gruppi indignati che “spiegano perché 50 sfumature di grigio è un brutto libro” e pubblicano stamp e sottolineano le peggio frasi, e oh oh oh, questo tipo di brutto non si era mai visto, santo cielo, caspita, mamma mia, meno male che ci sono io a farlo notare.
Per carità, ognuno ha diritto a divertirsi come preferisce. E può divertirsi prendendo in giro 50 sfumature di grigio, qualsiasi libro a caso di Fabio Volo, qualsiasi libro a caso di Federico Moccia, qualsiasi libro a caso di Nicholas Sparks and so on. Ciò che mi lascia perplessa è la serietà con cui questi cosiddetti lettori attaccano in branco le cagne maledette. Che sono indiscutibilmente cagne maledette, per carità. Ma, quindi? Se hai letto più tre libri, quest’anno, sai che è uscito di meglio e che è uscito di peggio. Sai come funziona il mercato editoriale e la pubblicità e il sistema del “bene o male purché se ne parli”. Sai che se davvero ci tieni a far passare il messaggio “gente, c’è di meglio in giro, non leggete ‘ste cagate” è mille volte più utile mettersi a proporre ciò che c’è di meglio in giro, piuttosto che mettersi a sparare sulla croce rossa.
È facile e comodo prendersela con libri come 50 sfumature di grigio. È così evidentemente brutto, non puoi sbagliare. Potresti anche sparare alla cieca, non leggero e avere comunque ragione, e fare la figura di quello che ha capito tutto della vita. Un modo facile ed economico per darsi una lustratina all’ego.
Creare un gruppo anti-Libro A Caso Brutto Come La Fame è un modo come un altro per “cantarsele e suonarsele” da soli. Si iscriveranno al gruppo – o leggeranno la recensione al vetriolo o commenteranno lo status su Facebook – solo persone che sono già d’accordo al 100% con la vostra opinione. Oh che brutto libro, oh che bello riderci su, oh come siamo intelligenti e superiori noi che leggiamo altre cose molto più fini e intellettualmente elevante, signora mia. Utile come lavare la macchina quando piove, insomma. La gente che legge e apprezza, o comunque non disprezza, il libro in questione non cambierà certo opinione perché voi dite che è brutto. Continuerà a leggere e ad apprezzare questo tipo di libri, che continueranno a venire pubblicati, da questa o da quest’altra cagna maledetta, perché ci sono persone che lo comprano e se ne strafotto allegramente – e posso dire giustamente – della vostra opinione.
Il che non vuol dire che non si ha il diritto di dire la propria opinione, ci mancherebbe altro. Sono solo sorpresa dal modo in cui si sceglie di esprimerla.
In cose del genere, onestamente, non ci vedo altra utilità che quella di sbandierare al mondo “oddio, quanto sono intelligente, non leggo Fabio Volo!” Immaginatevi pure la cagna maledetta della situazione che vi ignora mentre si sventola con un ventaglio di banconote mentre firma autografi alle fan con i piedi.
Detto questo, volete leggere un bel libro? Be my guest. Consigli random! (E se ne avete qualcuno da consigliare a me, pleeeease, fatelo!)

Parole nel Cassetto su Facebook

Vieni a chiacchierare con noi! Scorpacciata di libri fino a scoppiare!


Letture estive per tutti i gusti!

La sentinella
di Fredric Brown

Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame freddo ed era lontano 50mila anni-luce da casa. Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità doppia di quella cui era abituato, faceva d’ogni movimento un’agonia di fatica. Ma dopo decine di migliaia d’anni, quest’angolo di guerra non era cambiato. Era comodo per quelli dell’aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi; ma quando si arriva al dunque, tocca ancora al soldato di terra, alla fanteria, prendere la posizione e tenerla, col sangue, palmo a palmo. Come questo fottuto pianeta di una stella mai sentita nominare finché non ce lo avevano mandato. E adesso era suolo sacro perché c’era arrivato anche il nemico. Il nemico, l’unica altra razza intelligente della galassia… crudeli schifosi, ripugnanti mostri. Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di qualche migliaio di pianeti; ed era stata subito guerra; quelli avevano cominciato a sparare senza nemmeno tentare un accordo, una soluzione pacifica. E adesso, pianeta per pianeta, bisognava combattere, coi denti e con le unghie.
Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame, freddo e il giorno era livido e spazzato da un vento violento che gli faceva male agli occhi. Ma i nemici tentavano di infiltrarsi e ogni avamposto era vitale. Stava all’erta, il fucile pronto.
Lontano 50mila anni-luce dalla patria, a combattere su un mondo straniero e a chiedersi se ce l’avrebbe mai fatta a riportare a casa la pelle.
E allora vide uno di loro strisciare verso di lui. Prese la mira e fece fuoco. Il nemico emise quel verso strano, agghiacciante, che tutti loro facevano, poi non si mosse più.
Il verso, la vista del cadavere lo fecero rabbrividire. Molti, col passare del tempo, s’erano abituati, non ci facevano più caso; ma lui no. Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle d’un bianco nauseante e senza squame…


Allora, Cinquanta sfumature di grigio parla di ASPETTATE DOVE STATE ANDANDO STAVO SCHERZANDO.
Minchia se siete presi male, oh.

Tranquilli, oggi parleremo di tutt’altro, e nello specifico di macelleria narrativa. Fate la faccia entusiasta!

Mi dia… un quarto di fantasy e due costine di giallo. Quei racconti erotici sono freschi?

Quella vecchia volpe di Alfred Hitchcock diceva

Drama is life with the dull bits cut out.

Cioè

Il dramma è la vita con le parti noiose tagliate.

In altre parole! Se doveste girare un documentario dal titolo Vita segreta delle marmotte e piazzaste una telecamera per una settimana di fronte alla tana di una marmotta, a riprendere ventiquattr’ore su ventiquattro quello che succede e non succede, alla televisione poi trasmettereste ventiquattro per sette uguale CENTOSESSANTOTTO ore di filmato non-stop della tana della marmotta? Non credo proprio. Persino alle opere a fine divulgativo e documentaristico, infatti, viene applicato un rigido sistema di selezione e montaggio prima di pubblicarle. Perché è (anche) di questo che è fatta la narrativa: di selezione.

Qualsiasi sia la storia che vogliamo raccontare, ci sono che includiamo e cose che escludiamo. Con che criterio? Beh, quale metodo migliore per spiegarlo che questo:



Quando il nostro caro professor Jones si sposta da un capo all’altro del mondo all’avventura, non viene mostrato lui che sale sull’aereo, che aspetta che l’aereo decolli, che legge il solito depliant esplicativo sulle manovre di sicurezza da effettuare in caso di incidente, che chiede uno snack alla hostess, che sta scomodo sul sedile perché quello davanti si è fatto troppo indietro ecc. ecc. Ci basta appunto montare una scenetta del genere, dove l’aeroplanino si sposta dal punto A al punto B, per dire allo spettatore tutto ciò che gli serve sapere.

Ma come si fa a decidere cosa il lettore deve sapere o no? Vuol dire che bisogna eliminare tutta la “ciccia” e lasciare solo le “ossa” di una storia? Dove si lavora di accetta e dove di bisturi? Cerchiamo di capirlo con qualche esempio.

[1] «Ciao, Harry, come va?»
«Bene, Ron, grazie. Tu?»
«Massì, dai, bene. Normale.»
«Tua mamma?»
«Bene anche lei. Ha comprato un nuovo libro di cucina, Cose buone che non ti aspettavi che sapessero cucinare i Troll, e ogni giorno ci prepara qualcosa di nuovo.»
«Ah, bene! Vorrà dire che una di queste sere mi auto-inviterò a cena da voi.»
«Quando vuoi, Harry! Lo sai che alla Tana sei sempre il benvenuto.»
«Lo so, lo so, è solo che ultimamente sono stato un po’ preso dal lavoro.»
«Ah sì? Le solite scartoffie?»
«Sì, non me ne parlare, guarda. Ne ho fin sopra i capelli.»

OMMIODDIO, VI DECIDETE A FARE QUALCOSA DI INTERESSANTE O NO?

Strano ma vero, di fronte a scene del genere, spesso l’autore si nasconde dietro alla parola magica verosimiglianza. “Ma guarda che nella vita vera le persone parlano così. Ma guarda che io parlo così. Ma guarda che capita che la gente parli senza voler necessariamente andare a parare da qualche parte.”

Questa è quella che in gergo tecnico viene definita cazzata. Ah, no, scusate, volevo dire stronzata. Sapete com’è, il lessico specifico è difficile da memorizzare.

Perché mai sarebbe una stronzata? Facile, miei piccoli lettori. Sì, è vero, la gente parla così. La gente quando parla non sempre lo fa per dire qualcosa di significativo o di interessante. E sapete perché? Perché la gente comune, la gente vera, la gente di tutti i giorni NON DEVE FAR ANDARE AVANTI UNA TRAMA.

Pensateci un attimo. Qual è la principale differenza tra una storia vera e una storia di fantasia? Che la storia vera non ha necessariamente un senso, una conclusione, qualcosa che alla fine rimetta a posto tutti i tasselli. Se io oggi incontro per caso il mio vecchio compagnuccio di scuola Gigino, che adesso fa il poliziotto, non significa necessariamente che di qui a qualche giorno verrò coinvolta in un’indagine di polizia – per cui, guarda caso, è proprio fondamentale che io abbia riallacciato i rapporti con Gigino, perché altrimenti mai e poi mai avrei potuto accedere al database della polizia per scoprire se il giardiniere della contessa Ildebranda ha mai avuto precedenti penali! Nella vita vera, oggi incontro Gigino e magari non lo incontrerò mai più in vita mia. O magari lo incontro, ci mettiamo d’accordo per prendere un caffè di tanto in tanto con i figli, E BASTA. Non deve avere un senso, uno scopo, un perché. Accade perché sì, perché è il caso.

La mia prof di matematica del liceo diceva sempre: “Fatti interrogare oggi, Baldaro, perché domani, chi lo sa, magari ti cade un cocco in testa!” Mettendo un attimo da parte che io avrei preferito ricevere il cocco in testa che farmi interrogare in matematica, c’è una verità narrativa piuttosto forte in questa affermazione. Se ad esempio Harry Potter fosse finito così?

[2] «Hermione, la Profezia è chiara! Io dovrò scontrarmi faccia a faccia con Voldemort, e uno dei due in questo confronto morirà.
Hermione era in lacrime. “Ma è terribile, Harry!”
“Lo so, ma è il mio destino, e contro il destino non…”
Harry non finì mai la frase, perché arrivò all’improvviso un autobus e lo investì, uccidendolo.

MEEEP MEEEP

Nella vita vera questo succede per davvero. Capita di uscire in bici e di venire investiti da un bus. Capita di cadere in un tombino. Capita di svegliarsi tardi e non fare in tempo ad arrivare in università per dare un esame, capita di perdere il treno, capita di avere giornate in cui non succede niente. MA IL FATTO CHE SUCCEDA NELLA VITA VERA NON SIGNIFICA CHE FUNZIONI NECESSARIAMENTE ANCHE SU CARTA.

Per cui, come per il professor Jones che vola da Chicago a Dubai, ci sono scene che, anche se fanno parte della vita vera, non siamo tenuti a descrivere, per non rischiare di scadere nel noioso. Una cosa diffusissima nelle fanfiction è quella di introdurre lentissimissimamente il personaggio con una lunga digressione sui suoi preparativi per andare a scuola. Tipo:

[3] Rebecca si svegliò e guardò la sveglia sul comodino. Erano le 7:45. Sbadigliò e si alzò dal letto, cercando le ciabatte con i piedi nudi. Si diresse verso l’armadio e ci frugò dentro per qualche minuto, alla ricerca di un paio di un paio di jeans puliti e di una maglietta. Ne trovò una rosa con raffigurata in bianco la silhouette di Hello Kitty. Andò in bagno con i vestiti puliti sotto braccio. Si spogliò davanti allo specchio, si infilò sotto la doccia e si lavò con un bagnoschiuma alla lavanda, quello di sua madre. Pensò per qualche minuto alla scuola, sperando di non venire chiamata alla lavagna a fisica, poi uscì e si infilò il reggiseno, le mutandine e la maglietta senza asciugarsi i capelli. Se li spazzolò che erano ancora umidi, poi ci passò una phonata veloce. Faceva caldo, si sarebbero asciugati da soli. Si mise anche i jeans, buttò il pigiama sporco nella cesta della biancheria e uscì dal bagno a piedi nudi. Scese dabbasso dove l’aspettava il solito caffellatte con i biscotti. La prima cosa che notò, però, è che stranamente suo padre era ancora in casa e che aveva l’aria torva.

Ora, vedete chiaramente anche voi che l’intero paragrafo potrebbe essere riassunto in un

[4] Quando Rebecca quella mattina scese a fare colazione, notò che stranamente suo padre era ancora in casa e che aveva l’aria torva.

Qui si lavora con l’accetta, anzi, con la motosega!

Perché la descrizione di Rebecca non è interessante? Essenzialmente perché non ha alcun motivo per esistere. È una scena che possiamo omettere tranquillamente, perché anche il lettore medio si sveglia tutte le mattine, e avrà letto un fottilione di descrizioni di risveglio, e va lì va là sa benissimo qual è la routine media di una persona al mattino, quindi a che scopo descrivergli questa in particolare? Sarebbe come descrivere come funziona il telefono tutte le volte che per caso un personaggio telefona!

[5] Kate alzò la cornetta e se la portò all’orecchio, appoggiando la parte del ricevitore al padiglione auricolare e quella del microfono vicino alla bocca, in modo da poter sentire quello che la persona dall’altro capo del filo diceva, ma anche comunicare. Si dice “persona all’altro capo del filo” perché la pulsantiera del telefono è attaccata a un filo alla presa della corrente, ecc. ecc.
È una scena che non aggiunge niente: non mostra qualcosa di interessante o di insolito, non arricchisce la conoscenza che il lettore ha di Rebecca, non approfondisce la trama, e nessuna delle azioni compiute da da Rebecca ha una qualche relazione con quello che succederà dopo nella trama. Il punto è che si è svegliata e che è scesa a far colazione.

“Quindi fammi capire, Kukiness.”

Dimmi, curioso lettore interattivo (o voce nella mia testa… non riesco mai a distinguervi).

“Dicevo, quindi quello che dici tu è che praticamente vale la pena di descrivere solo ed esclusivamente ciò che è strettamente legato alla trama e/o qualcosa di bizzarro che nessuno si aspetta, giusto?”

Sbagliato.

Il punto è questo: quando si scrive bisogna essere consapevoli che tutto ciò che si omette e tutto ciò che si include avrà delle forti ripercussioni sull’intero complesso del romanzo. Se ometti troppo, si rischia ovviamente di risultare poveri, inconcludenti, sbrigativi, o peggio, di non venire capiti. Se si include troppo, si rischia invece di annoiare, di confondere, o di rallentare il ritmo narrativo all’infinito, magari spezzando quella che dovrebbe essere una scena di tensione, di pathos, o comunque dotata di una certa dinamicità.

Ogni volta che vogliamo scrivere una scena, è sensato chiedersi il perché. Il che non vuol dire che il perché debba essere necessariamente “perché deve assolutamente in qualche modo far procedere la trama!!!”. Potremmo anche trovare altri perché, ad esempio “perché voglio approfondire le motivazioni del mio personaggio”, “perché il mio romanzo ad ambientazione storica ha bisogno di essere arricchito da certe suggestioni”, “perché mi sembra che questa scena aiuti a definire meglio il rapporto tra il personaggio A e il personaggio B”.

Non è nemmeno da escludere la motivazione del “perché sì, perché mi va di descrivere minuziosamente il citofono della casa del vicino del protagonista”.

I DO WHAT I WANT

Il “tanto per fare” non è mai la migliore delle motivazioni, perché spesso conduce a compiere errori grossolani (quando non si sa dove andare a parare si rischia sempre di strafare) ma un po’ di atmosfera non la si nega a nessuno. Tanto, sapete come si dice, no? “Peggio per te” se scrivi ad cazzum e poi viene fuori una, in gergo tecnico, stronzata.

Dopo aver stabilito il perché, dovremmo avere meno difficoltà a “calibrare” le dosi della scena. Ad esempio, riprendendo l’esempio [3], la scena del risveglio; se volessimo sfruttarla per approfondire il personaggio di Rebecca? Allora chiediamoci: quante cose caratteristiche può fare un personaggio nell’arco della routine mattutina?

Rebecca potrebbe schiantare la sveglia contro il muro, inciampare in un cumulo di vestiti sporchi lasciati per terra ad accumulare polvere da una settimana; potrebbe frugare nella pila, cavarne il paio di jeans che puzza meno, e indossarlo. La doccia non funziona, perché si è dimenticata di pagare la bolletta…

Vedete anche voi che improvvisamente il risveglio diventa molto più interessante, perché è un risveglio che approfondisce il personaggio. Dobbiamo stare attenti a non dimenticare però che questa è una scena di raccordo. È verosimile, ad esempio, far durare la scena della routine mattutina per più di due pagine? Che tipo di impatto avrà sul ritmo del racconto? Va bene caratterizzare, ma non rischio in questo modo di far diventare Rebecca una macchietta?

Qualche consiglio di lettura, per trovare diversi usi dei toni descrittivi e delle varie omissioni/immissioni:

Georges Perec, La vita, istruzioni per l’uso

Irène Némirovsky, Il vino della solitudine

Joseph Heller, Comma 22

Cormac McCarthy, Non è un paese per vecchi

Tanto è estate, e sono sicura che ormai abbiate tutti finito Cinquanta sfumature di EHI NO FERMI SCHERZAVO TORNATE QUI! NON OFFENDETEVI!

Che lettori permalosi.