Ho un problema. Ho visto un bruttissimo cortometraggio e ora vorrei recensirlo, ma non so come cominciare, perché è talmente brutto che mi vergogno per lui.
Tutto è cominciato una notte buia e tempestosa, non poi così buia e nemmeno tanto tempestosa – ora che ci penso, non era neppure notte. Su Tumblr qualcuno ha cominciato a gridare “al genio”. Sapete come funziona Tumblr, no? Post, repost repost repost repost virgola tre periodico. Per cui quel “al genio” si è elevato alla potenza di ventordici. Non potevo certo rimanere insensibile a tutta questa genialità, no?
L’oggetto di tanta ammirazione e reposting (o reblog?, abboh, dai, ci siamo capiti) (ho controllato, si dice reblog!) era un cortometraggio di tale Ari Aster. Il titolo: The Strange Thing About The Johnsons.
Mille modi di chiedere aiuto in modo intelligente! |
Di cosa parla questo film? Detta in breve, di abusi sessuali in famiglia, ma la cosa controversa e shockante che ha emozionato e sconvolto Tumblr è il fatto che è il figlio ad abusare del padre, e non viceversa! Per non parlare del fatto che il cast è composto solo da attori di colore!!!! (ma di questo parleremo dopo)
Tumblr grida al genio!
For those involved with this film to dare and cross so many boundaries in order to shed light on this sensitive topic … that is bravery.
Dare to address controversy for the better of society.
Here’s to art and awareness.
(Random Dudette #1)
This is the most disturbing, twisted, sick, psychotic and uncomfortable (short) film that I have ever watched. With that said, considering the affect that it is supposed to have, it was well executed. It was, for me, like watching a really scary horror film, though it’s a psycho-thriller, it seems.
(Random Dude #2)
I couldn’t stop watching this. Entranced me more than some hollywood movies out right now. If you have 30min, check it out.
(Random Dudette #3)
E potrei continuare! All’infinito! Ma mi fanno male i diti dopo aver tenuto premuto ctrl+ins e poi shift+ins quindi basta. Arriviamo a noi. Che cos’è questa strana cosa dei Johnsons di cui parlano tutti?
SPOILER ALERT! Intendo qui lamentarmi piagnucolosamente della trama. Se non avete ancora visto il corto, potrei rovinarvi qualche colpo di scena che non c’è. Se vi interessa guardarvelo, andate qui o qui e poi tornate qui a leggere. Altrimenti, continuate pure!
Il corto si apre con l’unica scena decente di tutto il film. Il padre becca il figlio quindic… quattordic… sedic…, vabbè, che si fa una sega guardando una foto. C’è un momento di imbarazzo in cui il padre cerca di spiegare al figlio che farsi le seghe è normalissimo e il figlio che gli domanda “se è tanto normale, vuol dire che te le fai anche tu?”.
Awkwaaaard. |
La conversazione si conclude con un “I love you dad” e un “I love you back”, il padre se ne va, il figlio si lascia cadere sul letto e DRAMATIC ZOOM ASSOLUTAMENTE POCO CREDIBILE sulla foto che ritrae il padre in costume da bagno! OOOOOH. Il regista sembra avere una strana mania per gli zoom improbabili, come vedremo tra poco.
Passano quattordici anni ed il giorno del matrimonio del figlio. Da questo punto in poi non sono riuscita a trattenere le grasse risate. Gli invitati alla festa fanno una bella foto di famiglia insieme. Il padre ha la faccia di uno che non si sta divertendo e capiamo subito il perché, visto che il figlio gli sta pizzicando il culo con fare voglioso.
La fazza triste |
Durante il ricevimento la madre si mette a cercare il marito in giro e OMG, dietro a una staccionata CON UN BUCO AD ALTEZZA OCCHI PER DEPRAVATI (what a coincidence!) il figlio sta cercando di fare un pompino al padre che ha sempre la fazza triste. La madre rimane un attimo terrificata, ha un urto di vomito, si asciuga lacrime che non ha, poi sorride e se ne torna alla festa.
Best performance EVER |
Siamo a cena da mamma e papà. La mamma canticchia mentre sforna qualcosa di non meglio specificato e chiede al figlio di andare a chiamare il padre per cena (brava furba, dopo quello che hai visto lo mandi su da solo con tuo marito, avvabbè); la moglie del figlio è vestita in maniera trucida e assomiglia al tizio di Otto sotto un tetto con la parrucca.
Questo tizio |
MEANWHILE, il padre sta scrivendo degli abusi subiti sul suo diario segreto/nella sua autobiografia (WTF, quando tuo figlio è a cena a casa tua? Mr. Antisgamo, aspetta cinque minuti che se ne torna a casa!) tipo su un Mac costruito avanti Cristo; arriva il figlio (con tanto di scricchiolio di scale, che suspense!) e il padre cerca disperatamente di chiudere il documento prima e di spegnere il piccì poi, però il computer sembra non collaborare. Arriva il figlio quando il tutto è ancora acceso ma non entra nella stanza, quindi niente. Vanno tutti a cena e il figlio tratta male la madre tipo “Posso avere le carote?” “No, sono di papà, non toccarle!”; il padre e la madre si tengono per mano e il figlio per tutta risposta fa piedino al padre che sembra più una grattatina sullo stinco.
Vi ricordate il diario segreto/l’autobiografia di cui parlavamo prima? A quanto pare il padre intende pubblicarla, perché le ha dato persino un titolo, Cocoon Man (che a mio modesto parere sarebbe stato un titolo migliore per il corto di The Strange Thing About The Johnson, ma vabbè). Pinza il tutto e lo porta in camera da letto; si sente il rumore della doccia e deduciamo che la moglie si stia lavando. Il padre ficca il romanzo sotto il cuscino con un post it Joan forgive me.
Il figlio esce dalla propria camera da letto – ma ‘sto figlio non ha una casa propria? È sempre lì in giro! E qui sorge di nuovo la domanda: ma tu, padre, non puoi aspettare che tuo figlio se ne torna a casa?, o che vada a fare la spesa?, perché devi fare le cose pericolose sempre quando lui è in casa così ti sgama? Comunque, il figlio dice al padre, che fa la faccia antisgamo del tipo “Chi, io? Quale manoscritto?”, che il bagno di camera sua non funziona quindi andrà in quello della camera dei genitori. Il padre strilla “Noooo tua madre è sotto la doccia!” e il figlio giustamente risponde “Posso aspettare!” e se ne va tutto tranquillo in camera. Il padre, spaventato a morte, scende di sotto.
Nella scena successiva, il padre e un gufo fanno a faccia di tolla. Vince il gufo perché il padre si gira quando il figlio entra nella stanza. Il figlio ha in mano il manoscritto! TA-DAAN, zoom (the strange thing about the zooms). Il padre, con una gestualità da attore consumato, si spiaccica contro lo schienale della poltrona. Il figlio gli getta davanti il manoscritto con disprezzo e il padre si scusa per averlo scritto. Il figlio gli dice “Fai sparire tutte le copie” e se ne va.
È Capodanno! Il figlio limona con la moglie (sempre vestita come la merda) e il padre ha la solita faccia depressa. Il figlio guarda in camera… ah, no, sta guardando il padre mentre limona. È finita la festa, tutti tornano a casa, TUTTI TRANNE IL FIGLIO, che dà un pugno a una fotografia (the strange thing about the photo) e dice alla moglie, con un tono MOLTO convincente “Ops, ora dovrò stare qui a pulire tutta la notte, tu va’ a casa” (e lei ci va, anche se è poco convinta). Il padre nel frattempo è nella vasca da bagno – cosa che ci fa intuire che sia andato a farsi il bagno PRIMA che gli ospiti fossero usciti di casa o che il figlio abbia vagato per casa senza meta per ore – e sta ascoltando una cassetta (ZOOM sul particolare della cassetta, una cassetta di… autoaiuto? Boh? Come Fare A Dare Sberle Al Proprio Figlio Trentenne In Cinque Mosse) a tutto volume. Il figlio bussa alla porta, “Come hai osato chiudere la porta a chiave?”, e butta giù la porta. Qui il padre fa la faccia più buffa di sempre e anche se doveva essere una scena terribilmente drammatica io ho riso come una scimmia per tutto il tempo.
Click for fun |
La madre nel frattempo sta guardando tipo ER (dopo la festa di Capodanno?, sono le quattro del mattino, non puoi andare a dormire?) e alza il volume al massimo (ZOOM sul volume che viene alzato) per non sentire le grida di terrore del marito dal bagno e ride da sola, brava scema. Il figlio nel frattempo esce dalla vasca con i pantaloni alle caviglie zuppi, se li tira su e dice “Scrivi anche questo sul tuo libro”. Primo piano della faccia terrorizzata del padre a letto che guarda la nuca della moglie che è sveglia come un grillo ma gli dà le spalle.
Il padre tira fuori da sotto le assi del pavimento disposte in maniera molto poco sospetta una copia segreta di Cocoon Man e cerca di uscire di casa. Da chi sta andando? Perché come al solito non aspetta che il figlio sia uscito di casa? Perché invece di andare in giro col manoscritto stretto al petto col titolo bello in evidenza non se lo mette tipo in una borsa nascosto, così nessuno lo vede? Boh. Fatto sta che scende le scale e il figlio lo ferma per fare una chiacchierata da uomo a uomo. Il figlio gli dichiara per l’ennesima volta il suo amore perverso e il padre corre fuori con il manoscritto stretto al petto, agitandosi come una ragazzina. In quel momento, arriva un furgoncino dei gelati o della posta o quel che l’è, a tipo DUE ALL’ORA, ma visto che andava a due all’ora il regista ha pensato bene di velocizzare la pellicola, che tanto non se ne sarebbe accorto nessuno! Il furgoncino colpisce in pieno il padre che non si capisce come ci sia finito sotto e lo uccide. Magistrale l’interpretazione dell’autista del furgoncino. Quella del figlio invece fa pena e ho riso istericamente mentre lo guardavo tirarsi su i calzoni come se gli scappasse una pipì assurda.
Viene organizzato il funerale e la moglie è sconvolta. Dopo il funerale, non si quanto dopo, ma dopo, il figlio fruga tra la roba del padre e ne cava fuori un maglione orrido che indossa su una camicia che peggio mi sento. La madre lo becca e qui parte un altro momento esilarante del corto: IL FINALE. La madre chiede al figlio perché il padre stesse piangendo al ritorno dalla sua Prom Night, notte del ballo di fine anno. Il figlio risponde “Che cazzo ne so, sono passati anni?” e la madre dice “Ah, allora è iniziato quel giorno!” tra le lacrime e lo accusa di aver ucciso il proprio padre. Gli tira due schiaffi, lui glieli rende e qui parte una bitch fight. Il figlio scaglia la madre verso il caminetto, ma lei si ribella afferrando non si sa come l’attizzatoio e piantandoglielo ovunque gridando come se avesse visto un topo. Fine.
Ora, sono io che sono ormai rovinata mentalmente dopo anni di film trash e slasher e torture porn, o questo film fa morire dal ridere? Ho una serie di domande:
1) PERCHÉ? Cioè. sul serio, perché. Com’è possibile? Il padre non è un vecchio immobilizzato sulla sedia a rotelle o su un letto, non è un bambino che non sa difendersi e non è una donna. Com’è possibile che il figlio riesca ad avere sempre la meglio su di lui? Il figlio non sembra più forte né dal punto di vista fisico né da quello mentale. Non sembra dotato di forza particolare né delle capacità per soggiogare la mente del padre. Non viene mostrato nulla di tutto ciò. Voi potrete dire “ma Kuki, è sottinteso! È finemente lasciato intuire!”, ma io dico: mi ha fatto lo zoom persino sull’audiocassettina per farmi VEDERE che tipo di persona è il padre (senza riuscirci, tra l’altro), quindi perché non mi fa vedere che tipo di forza ha il figlio a propria disposizione che gli permette di fare del male al padre? Considerate poi che gli abusi sono cominciati quando il figlio era solo un ragazzino! Ma dagli due sberle. Nel libro il padre scrive “Cosa avrei dovuto fare, mandarlo nella sua stanza?” Sì, cazzo! Dai! A pedatoni! Secondo te? Ma che domande sono?
2) MA LA GENTE È STUPIDA? Vogliamo parlare del padre e del manoscritto? Prima di tutto, che modo inefficace di chiedere aiuto, o comunque di ammettere quello che sta succedendo. È vero che tutti reagiscono in modo diverso, ma pensaci un attimo! Se io fossi appassionata di tatuaggi e mio padre mi molestasse o molestassi mio padre o mio figlio mi… (sigh) comunque, non è che mi farei tatuare “vengo molestata” in fronte perché per caratterizzazione mi piacciono i tatuaggi! Lui scrive ‘sto malloppo e se lo mena in giro così, ad cazzum. Prima di tutto lo scrive quando il figlio è in casa e poi fa le faccette preoccupate quando lo sente arrivare (ma dai?), poi, quando finalmente l’ha stampato, è sempre lì a sventolarlo in giro nei momenti meno opportuni. Aspetta che tuo figlio esca! Mandalo a fare la spesa! Un po’ di buon senso. E la madre, che dovrebbe fare la parte di quella debole che sa tutto ma non dice niente? Sembra solo una deficiente. Sembra una che ignora più che una che finge di non sapere, eppure l’abbiamo vista tutti guardare dal buco della staccionata. Quando alza il volume sembra che lo faccia perché le grida le danno fastidio, non perché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. E il finale, dove fa tutta la figa con la storia del ballo di fine anno? Ma scherzi? Che senso ha? Li hai visti!
3) Terza e ultima domanda, la più importante di tutte. CHI HA SCELTO LE FOTO PER IL FUNERALE?
Foto scelte da uno che ti vuole proprio bene |
Ah, un’ultima considerazione. Sempre su Tumblr si sono tutti messi a fare commenti argutissimi sul fatto che il cast è tutto di colore. “È per dimostrare che le cose brutte succedono a tutte le famiglie! È per superare i pregiudizi!”. No. Il regista dice chiaramente “L’idea mi è venuta chiacchierando col mio amico a cui poi ho dato la parte del figlio. Essendo il mio amico di colore, i genitori dovevano essere di colore.”
Ultimissima cosa. Il tema disturbante. Come avete visto dai commenti che ho citato, il cortometraggio viene lodato per il coraggio di aver affrontato il tabù dei tabù. A parte che una cosa è il tabù e una è il caso raro ed eccezionalissimo; a questo punto, è un tabù anche la molestia sessuale da parte degli scoiattoli?
Stuprerò la tua famiglia! |
Salve, sono la premessa della premessa. Vengo prima di ogni altra cosa che leggerete qui. Il mio scopo è quello di suggerirvi di dare un’occhiata a questo articolo prima di leggere quanto segue. Bravi ragazzi.
Ciao, sono la premessa! Vi ricordo che abbiamo già parlato di dialoghi statici, e per la precisione ne abbiamo parlato qui. Dateci un’occhiata per rinfrescare la memoria.
Ciao, sono l’articolo vero. Finalmente, eh! Allora! I dialoghi! Croce e delizia di ogni fanwriter, una delle parti più golose da leggere e da scrivere. Oggi ci occuperemo dei tag di dialogo, che detto così sembra una malattia della pelle o una brutta bestia e invece sono una robetta tecnica piuttosto utile e divertente; in particolare, ci dedicheremo alla brutta mania di agganciare un gerundio a ogni tag.
Hai un tag sulla spalla!
Eh? Togliemelotoglimelotoglimelo! |
I tag di dialogo, o dialogue tag se vogliamo fare gli stilosi e dirlo all’inglese, sono niente più niente meno che tutti quei “disse Harry”, “sussurrò Naruto”, “urlò Giuseppe” e via discorrendo che scandiscono i dialoghi. Quindi, ad esempio:
“Niente, vecchio,” disse il Monco. Guardò il mucchio di cadaveri sul carretto. “Non mi tornavano i conti. Me ne mancava uno.”
“Tu sei un mago, Harry!” esclamò Hagrid.
“Puzzi come una fogna!” strillò Andrea e si tappò il naso con le mani.
I tag di dialogo hanno due principali funzioni:
1) identificare CHI parla
Confrontare!
Harry e Hermione entrarono in un negozio.
«Ho bisogno di una piuma nuova!»
«Okay. Lì c’è lo scaffale.»
Harry e Hermione entrarono in un negozio.
«Ho bisogno di una piuma nuova!» disse Hermione
«Okay. Lì c’è lo scaffale.»
2) determinare COME parla
Confrontare!
Harry e Hermione entrarono in un negozio.
«Ho bisogno di una piuma nuova!» esclamò Hermione.
«Okay. Lì c’è lo scaffale,» brontolò Harry.
Harry e Hermione entrarono in un negozio.
«Ho bisogno di una piuma nuova,» sussurrò Hermione.
Imparare a usare i tag vi renderà più fighi di questo tizio |
Gerundi
Una pessima abitudine è quella di infarcire i tag di dialogo di catene di gerundi. Quello che si crede di ottenere è un senso di continuità tra “parlato” e “azione”. Nella vita vera non è possibile parlare e basta. Anche quando si parla al telefono o si chatta su Internet, il tempo continua a scorrere e intorno a noi le cose continuano a succedere. Non possiamo dimenticarci il corpo dei personaggi da un’altra parte.Solitamente, quindi, lo scrittore sente l’ansia di inserire ciò che il personaggio fa oltre a ciò che il personaggio dice.
Usando i gerundi, questo è il risultato:
«Ciao, come va?» disse Erica, entrando nella stanza.
«Bene, grazie,» rispose Carlo, facendole cenno di avvicinarsi e di sedersi con lui sul divano. «Stavo guardando una nuova puntata di The Walking Dead. La guardi con me?»
«Non so, pensavo di farmi una doccia,» disse Erica, guardando la porta del bagno, scrollando poi le spalle e avvicinandosi al divano. «Ma sì, dai. Cinque minuti e poi vado.»
«Vieni,» disse Carlo, facendole posto.
Il gerundio è un tempo infido. È lento, masticone, rallenta il ritmo di lettura e non rende bene la dimensione temporale della vicenda. Sembra che tutto accada contemporaneamente, tutto alla stessa velocità, senza sfumature. Guardate l’effetto di un dialogo sgravato del peso del gerundio:
«Razza di fifone, è soltanto un barbagianni!». Slegò la lettera dalla zampa del volatile, lesse il nome del mittente e aggrottò la fronte. «Lalo, è per te. Una lettera dal Ministero».
«Dal Ministero?».
«Brutto, bruttissimo segno», bisbigliò il ritratto di Consuelo Fiddler. Quella con un occhio in fronte, la voce nasale e spocchiosa.
Lalo emerse dal retrobottega, assorto e pensieroso, mentre con un panno si puliva le mani sporche di inchiostro. Madame Dulcibella storse la bocca in una smorfia di disapprovazione.
«I tuoi stupidi Marchi Contraffati Per Vampiri ci faranno finire ad Azkaban».
Lalo si sfilò gli occhiali e li ripose nel taschino.
«Non essere pessimista, mia cara. E ricorda che i nostri stupidi Marchi Contraffati Per Vampiri, come li chiami tu, ci fanno guadagnare il doppio del valore di tutta la merce che abbiamo in magazzino».
Madame Dulcibella sbuffò. Lalo invece sorrise, mettendo in mostra due canini scintillanti.
«La mia piccola brontolona barbuta!».
Avvicinò la mano per accarezzarle la barba, ma lei si scostò di un passo per evitare il contatto.
«Non chiamarmi così, non mi piace. Lo sai bene».
Lalo le circondò la vita con un braccio e le diede un bacio a fior di labbra. Malgrado tutto, lei arrossì vistosamente.
«Povera stolta», borbottò qualcuno.
Dulcibella imprecò. Lalo rise.
«Sono gelose, non te la prendere. Sei tu la Signora Fiddler, adesso. Non lo dimenticare».
Non aveva importanza. Prima o poi li avrebbe bruciati, quegli orribili e petulanti quadri. Parola di Madame Dulcibella.
«Ora fai la brava. Porgimi la lettera e non tenermi il broncio».
«Ecco qua», sbottò lei.
Lo guardò aprire la busta e leggerne velocemente il contenuto.
«Allora? Che cosa vuole il Ministero? Non sarà mica scaduta la licenza, vero? L’abbiamo rinnovata l’anno scorso».
Lalo non rispose.
«Brutto, bruttissimo segno», bisbigliò di nuovo il ritratto di Consuelo Fiddler.
Madame Dulcibella non poté darle torto. Lalo sollevò lo sguardo lentamente e i suoi occhi sbarrati la fecero rabbrividire.
«Vengono a fare un’ispezione».
Dulcibella sussultò.
Stupidi Marchi Contraffati Per Vampiri! Maledetto il giorno in cui aveva dato retta a suo marito.
«Quando?».
Lalo si voltò verso l’ingresso dell’emporio. Strinse il pugno e serrò la mascella.
«Adesso».
La porta si spalancò, subito seguita dal familiare din dlon del campanello.
La criniera leonina di Rufus Scrimgeour, capo Dipartimento Auror, si stagliava rossa e fiammante contro l’oscurità di Notturn Alley.
Notate quanta azione ci sia contemporanea al dialogo. I personaggi si muovono sulla scena, fanno cose oltre a parlare. Facciamo un mestiere inverso e proviamo a infilare i gerundi:
«Razza di fifone, è soltanto un barbagianni!», disse, slegando la lettera dalla zampa del volatile, leggendo il nome del mittente e aggrottando la fronte. «Lalo, è per te. Una lettera dal Ministero».
«Dal Ministero?».
«Brutto, bruttissimo segno», bisbigliò il ritratto di Consuelo Fiddler. Quella con un occhio in fronte, la voce nasale e spocchiosa.
Lalo emerse dal retrobottega, assorto e pensieroso, mentre con un panno si puliva le mani sporche di inchiostro.
«I tuoi stupidi Marchi Contraffati Per Vampiri ci faranno finire ad Azkaban», disse Madame Dulcibella, storcendo la bocca in una smorfia di disapprovazione.
«Non essere pessimista, mia cara. E ricorda che i nostri stupidi Marchi Contraffati Per Vampiri, come li chiami tu, ci fanno guadagnare il doppio del valore di tutta la merce che abbiamo in magazzino», disse Lalo sfilandosi gli occhiali e riponendoli nel taschino.
Notate la differenza di ritmo? Il primo testo è leggero, elegante. Il dialogo viene alternato all’azione in maniera armonica e calibrata. L’effetto è ottenuto grazie alla capacità dell’autrice di scegliere quando inserire il tag di dialogo e quando, invece, farne a meno. Se è vero, da una parte, quello che abbiamo detto sopra, cioè che il tag di dialogo serve a indicare chi parla e come parla, dall’altra una delle scelte più eleganti e apprezzabili è quella di non inserirlo affatto. Se il punto di vista è ben gestito e se si capisce chi parla, il tono della battuta può essere facilmente desunto dal contesto e dal contenuto della battuta stessa. Scandire il ritmo con battute e scene descrittivo narrative rende il testo più equilibrato, più pulito e più piacevole da leggere.
Evitare il gerundio vi permette di gestire meglio il ritmo della scena e del dialogo. Più gerundi inserite, più il tempo intorno al vostro dialogo sarà dilatato e il lettore avrà la sensazione che le azioni dei personaggi si accavallino tra loro. Usare una scena descrittivo narrativa al posto di un gerundio attaccato a un tag vi potrebbe evitare di usare il tag stesso e di snellire così la narrazione:
«I tuoi stupidi Marchi Contraffati Per Vampiri ci faranno finire ad Azkaban».
Lalo si sfilò gli occhiali e li ripose nel taschino.
«Non essere pessimista, mia cara. E ricorda che i nostri stupidi Marchi Contraffati Per Vampiri, come li chiami tu, ci fanno guadagnare il doppio del valore di tutta la merce che abbiamo in magazzino».
Il gesto di Lalo, qui, ruota l’interesse della telecamera su di lui. La battuta, quindi, passa a lui e il tag di dialogo si può evitare senza colpo ferire.
Mi raccomando, ricordatevi che i tag di dialogo e i gerundi non sono assolutamente vietati. Ci sono situazioni in cui un gerundio permette di creare uno snodo narrativo più veloce e altre in cui evitare di inserire il tag di dialogo comprometterebbe la comprensione del testo! Come sempre, quindi, non bevetevi il consiglio come se fosse sciroppo per la tosse e ragionate sempre di volta in volta sulla situazione che vi si presenta.
[1] Qui potete leggere la fanfiction da cui è stato tratto l’esempio.
SIGLA!
Succede così, che un giorno sei lì, guardi la tivù e in una pubblicità passa un sottofondo musicale che ti piace da matti. È la pubblicità dei Cornetti Algida, ma chissenefrega, il motivetto è orecchiabile. Meno male che hanno inventato Internet!
Tu su Google
PUBBLICITÀ CONRETTO CANZONE
Google a Te
Forse cercavi CORNETTO? Comunque ti ho trovato un po’ di canzoni.
Eccolo lì! Un bel riquadro di Youtube che ti manda alla canzone che cercavi! Sono gli… gli… Audio Bullys? Mai sentiti. Bella lì, però! La canzone è proprio una figata. Scorri i commenti.
Commenti a Te
Thumbs up se siete qui grazie al Cornetto Algida! :D :D
E tu lo sei! Yeah! Subito su il pollice. Poi leggi i commenti successivi:
Che tristezza quelli che hanno trovato la canzone del Cornetto!
Cosa, quale pubblicità? Io questa canzone la conoscevo perché gli Audio Bullys sono grandiosi, che cazzo c’entra il Cornetto?
Io manco guardo la televisione, perché manda in pappa il cervello!
Chi sono questio ignoranti????
E tu ti senti per QUALCHE STRANO MOTIVO triste y colpevole.
Ma chi sono questi Feroci e Arrabbiatissimi utenti di Youtube? E loro alla canzone come ci sono arrivati? Non ti preoccupare, mio piccolo lettore! Questo post è dedicato proprio ai Rage Fan, ossia a quegli utenti di Internet che provano un piacere strano e perverso a urlarti in faccia quando sbagli qualcosa/quando loro pensano che tu stia sbagliando qualcosa.
Questo articoletto nasce da una breve visita su un forum dedicato al Doctor Who. Per chi non lo sapesse, il Doctor Who è una serie televisiva della BBC che nasce tanto tanto tempo fa, quando la Terra era piatta. Tipo nel 1963. Il Nono, il Decimo e l’Undicesimo Dottore, però, sono piuttosto recenti, quando le medicine erano già state inventate, cioè nel 2005.
Il Decimo Dottore in un suo momento di… |
Oooora.
Prima del 2005, l’ultimo film del Doctor Who era uscito tipo nel 1996. Significa che la nuova generazione di spettatori difficilmente ha visto la serie classica, ma ha cominciato proprio con i Dottori moderni. I Nuovi Dottori sono fatti apposta per poter essere guardati, seguiti e capiti anche da chi non ha visto le serie classiche e per avvicinare le nuove generazioni al programma: attori di aspetto gradevole, giovani, in grado di girare scene d’azione, un po’ di romanticismo e via discorrendo.
Pensate di essere uno dei nuovi fan.
Voi nei panni di un fan
Uh! Che carina questa serie, il Doctor Who! Mi piace proprio. Grazie, Internet! Mi dai la possibilità di iscrivermi a un forum e di parlare con altri fan come me delle cose che ci piacciono. Ciao, altri fan come me! Sono un super fan del Dottor Who! Che simpatico il Dottore! Tennant è fantastico! Mi fa morire dal ridere. È il mio dottore preferito. Voi che ne pensate?
Dopo due o tre risposte normali tipo “È anche il mio preferito!”, “No, io preferisco Smith, perché ha il farfallino!”, “Sì, però che triste la cosa di Rose… :(” ecco che arrivano loro: I RAGE FAN!!!
Li senti avvicinarsi perché le imposte sbattono, il termostato crolla e il cane ulula alla luna.
COSA COSA COSA odono le mie orecchie? Cosa vedono le mie fosche pupille? SUPER FAN? Come osi definirti super fan se non hai visto la serie originale? E come puoi dire che Tennant sia il migliore? E Baker? VUOI METTERE CON BAKER? Ma cosa parlo a fare con te, che guardi il Doctor Who solo per gli attori carini! Triste la cosa di Rose? Nessuno si ricorda mai di Adric! Quello sì che è triste? Come puoi dire che quella cosa è triste se…
E così via e via discorrendo.
Oh, non fate quelle facce. Non è mica un problema solo dei fan del Dottor Who. Vogliamo parlare dei fan di Monkey Island?
Monkey Island è una avventura grafica creata dalla LucasArts durante l’Impero Romano, cioè nel 1990. I primi due capitoli, che si susseguono a distanza di un anno, sono tipo le più belle avventure grafiche EVER, e sono state realizzate con l’apporto di Ron Gilbert, Tim Schafer e Dave Grossman. La vera mente del progetto era Ron Gilbert, che creava degli enigmi fantastici, divertentissimi e difficilissimi da risolvere.
Okay. Dopo il secondo capitolo, Ron Gilbert se ne va. Il terzo e il quarto capitolo della saga sono affidati ad altre persone e, oggettivamente, non riescono ad arrivare ai livelli di Gilbert. Tuttavia, se sei nato negli anni Novanta è più probabile che tu abbia giocato al terzo capitolo, che è del 1997 (anno della scoperta dell’America) ed è su cd-rom e non su floppy-disc (a meno che tu non abbia genitori nerd come me che giocavano a Monkey Island su floppy). Anche il quarto è su cd, è del 2000 (anno della nascita delle macchine volanti e dei viaggi nello spazio).
Ora, lo scopo è RISOLVERE ENIGMI. Okay? Raccogli oggetti stupidi, li metti insieme, crei oggetti ANCORA più stupidi e li usi per aprire porte, per convincere scimmie a seguirti o per rubare reggiseni ai pirati (true story). Immaginate di essere dei nuovi fan di Monkey Island:
Ah, che difficile questo enigma! Grazie, Internet, che mi dai la possibilità di iscrivermi a un forum e di chiedere aiuto ad altri fan come me! Ciao, altri fan come me! Sono una grande fan di Monkey Island! Sto giocando alla Maledizione di Monkey Island e mi piace un sacco! Sono bloccata in un punto: non so come convincere i pirati a unirsi alla mia ciurma. Qualcuno mi aiuta a risolvere il problema?
Si sentono dei passi pesanti in lontananza. I cavalli nitriscono, le porte sbattono, i pesci rossi saltano fuori dalla boccia.
COME OSI DEFINIRTI UNA GRANDE FAN DI MONKEY ISLAND? Se non hai mai giocato in 8-bit è COME SE NON AVESSI GIOCATO! Non sono veri MI quelli che non sono stati supervisionati da Gilbert! E cosa chiedi aiuto per il terzo che è facilissimo?
E così via e via discorrendo.
Vogliamo parlare dei fan di Harry Potter?
Adoro i film di Harry Potter!
IO PIANGEVO LA MORTE DI FRED WEASLEY PRIMA CHE TU IMPARASSI A CAMMINARE! Ops, ti ho fatto uno spoiler dell’ultimo film! LOL! Così impari a non leggere i libri. Mettete mi piace se anche voi pensate che chi ha visto solo i film non capisce niente di Harry Potter perché la Saga della Rowling nasce come libro e chi va a Roma perde poltrona e la gattina frettolosa ha FATTO NASCERE I GATTINI BABBANI!!!!
Gattino babbano costretto a usare armi non magiche |
Qualcuno, per favore, mi spieghi cosa c’è all’origine di tutta questa rabbia nei confronti dei “nuovi fan”. Perché spaventate i nuovi fan, maledizione? Sono piccoli! Si spaventano e poi scappano. Poi vi lamentate che le vostre serie sono poco seguite e poco apprezzate dal pubblico. Eccicredo! Spaventate a morte tutti quelli che osano avvicinarsi al vostro Tempio Sacro della Conoscenza.
Santo cielo!
Invece di essere contenti che qualcuno ha scoperto la cosa bellissima di cui voi siete fan! Siete senza cuore. Accogliete i poveri niubbi! Non importa se sono arrivati alla vostra canzone preferita perché la davano come sottofondo musicale di una pubblicità di assorbenti! Non importa se hanno visto prima il film e poi letto il libro e non importa se hanno cominciato a guardare la serie perché c’era il loro attore preferito. Poi al massimo, se gli piace, guardano anche le altre puntate, giocano agli altri giochi, ascoltano il resto del cd e IMPARANO. Comprano i libri di Harry Potter, pagano il biglietto del cinema, spendono soldi sonanti per avere i cd e fanno più ricchi quelli che producono le cose che vi piacciono.
Non maltrattate i niubbi!
Un modo sicuro più o meno al 100% per sapere se una fanfiction vale la pena di essere letta è quello di osservare l'(ab)uso di riformulazioni del nome proprio. Ecco, cominciare un post con una parola come RI-FOR-MU-LA-ZIO-NE è un modo altrettanto sicuro di perdere l’attenzione dei lettori alla prima frase. Cos’è questa brutta parola, la riformulazione? Facciamo un esempio alla Professor Spiegoni:
«Harry, la verità è che io…» disse Ginny, «devo parlarti.»
Harry inarcò un sopracciglio e guardò l’ultima nata di casa Weasley negli occhi.
«È successo qualcosa?» domandò il moretto, con voce apprensiva. «Sei pallida. Che succede, qualcuno ti ha fatto del male?» Il grifone storse la bocca in una smorfia.
«No no,» disse la rossa, abbassando lo sguardo. «No, non ti preoccupare.»
«Ginny, non mi tenere sulle spine!» incalzò il Cercatore Grifondoro, posando le mani sulle spalle della giovane. «Che cosa devi dirmi?»
La ragazza tornò ad alzare lo sguardo sul volto preoccupato dell’amico.
Allora!
Qui abbiamo due personaggi che dialogano, nello specifico Harry Potter e Ginny Weasley. Apparentemente niente di più semplice, no? Quindi qual è il problema di questo brano? Che i personaggi non sembrano due ma DIECIMILA. E questo a causa delle riformulazioni! Le riformulazioni sono infatti quel “moretto”, “rossa”, “Cercatore Grifondoro”, “la ragazza” e “l’amico”; si riferiscono tutti o a Harry o a Ginny e cercano DISPERATAMENTISSIMAMENTE di non ripetere il nome proprio del personaggio.
Questa tendenza è una spia di ingenuità stilistica. Ricorrono alle riformulazioni quegli autori che si ingarbugliano nel proprio stile e nella propria sintassi e non riescono a trovare una soluzione più pulita e più intelligente della riformulazione. Notare che questo brano l’ho scritto io di mio pugno quando avevo circa… quindici anni? O giù di lì. L’ho giusto un filo esagerato per l’esempio, ma c’erano un sacco di riformulazioni comunque. Nessuno nasce imparato. Non ti svegli la mattina consapevole del tuo stile e della sintassi del mondo. Per questo parlo di “ingenuità” e non di “ignoranza” o “stupidità”. Passiamo tutti la fase del “il moretto guardò negli occhi il biondo Serpeverde”… prima o poi qualcuno ci allunga un manuale di stilistica e a quel punto la smettiamo. Forse…
A questo punto tutti abbiamo capito che cos’è una riformulazione. Ma perché quando ne troviamo una dobbiamo gridare ORRORE ORRORE? Vediamo insieme quali sono i motivi per cui le riformulazioni vanno evitate come la peste.
Uno dei motivi per cui si arriva alla necessità di usare le riformulazioni è il non sapere gestire un dialogo o una scena descrittiva. Proviamo infatti a sostituire tutte le riformulazione dell’esempio sopra con il nome proprio del personaggio che compie l’azione. Vediamo se il brano migliora oppure no:
«Harry, la verità è che io…» disse Ginny, «devo parlarti.»
Harry inarcò un sopracciglio e guardò Ginny negli occhi.
«È successo qualcosa?» domandò Harry, con voce apprensiva. «Sei pallida. Che succede, qualcuno ti ha fatto del male?» Harry storse la bocca in una smorfia.
«No no,» disse Ginny, abbassando lo sguardo. «No, non ti preoccupare.»
«Ginny, non mi tenere sulle spine!» incalzò Harry, posando le mani sulle spalle di Ginny. «Che cosa devi dirmi?»
Ginny tornò ad alzare lo sguardo sul volto preoccupato di Harry.
Uhm. Vi sembra meglio dell’esempio numero uno? No? Eppure ho tolto tutte le riformulazioni! E allora perché il brano continua a fare schifo?
Semplice. Il problema non sono le riformulazioni, ma ciò che ci spinge a usarle; il brano è INFARCITO di parole e di specificazioni inutili. Ad esempio:
Harry inarcò un sopracciglio e guardò Ginny negli occhi.
«È successo qualcosa?» domandò Harry con voce apprensiva. «Sei pallida. Che succede, qualcuno ti ha fatto del male?» Harry storse la bocca in una smorfia.
Harry di qui e Harry di lì. L’abbiamo capito che il soggetto è Harry. Andiamo giù di ellissi.
Harry inarcò un sopracciglio e guardò Ginny negli occhi.
«È successo qualcosa?» domandò, con voce apprensiva. «Sei pallida. Che succede, qualcuno ti ha fatto del male?» Storse la bocca in una smorfia.
Ta-daan. Se il soggetto è chiaro, si può usare l’ellissi e non specificarlo. Ovviamente, fate attenzione all’ellissi facile: il soggetto deve essere chiaro, altrimenti non specificarlo crea confusione.
Harry e Ginny si guardarono. «È pesante la borsa?»
La soppesò con un braccio. «No, dai, ce la posso fare.»
Sorrise. Era molto più semplice così.
«D’accordo. Possiamo andare?»
«Okay. Dove mangiamo?»
Fece spallucce. «Non so, dove preferisci.»
Chi dice cosa a chi, maledizione!
La radice del problema quindi è questa: se non sappiamo gestire bene il periodo, rischiamo di ingolfarci e di rimanere sommersi da dodicimila specificazioni. A quel punto ci facciamo prendere dal panico (“Ommioddio, ho ripetuto Harry due volte a distanza di due righe!!!!”) e cerchiamo di mettere una toppa là dove crediamo esserci il buco. Ma la toppa è peggio del buco, perché:
1) le riformulazioni, esattamente come i dodicimila nomi propri, sono specificazioni inutili. Tutto ciò che è inutile e sovrabbondante ANNOIA e disperde l’attenzione del lettore;
2) le riformulazioni creano confusione. Harry è Harry, Ginny è Ginny, se cominciamo ad aggiungere “grifoncina”, “moretto”, “Sfregiato” e chi più ne ha più ne metta il lettore rischia di confodersi! Pensate a una situazione in cui tutt’e due i personaggi sono giovani uomini, con lo stesso colore di capelli: che facciamo, ci spariamo?
Matteo sorrise. «Mi piacerebbe vederlo.»
«Non so se ti conviene,» rispose Luca. «Non è un bello spettacolo!»
Il giovane annuì. «Ma ormai mi hai incuriosito! Dai! Portamici!» disse, dando una pacca sulla spalla del ragazzo.
Lo studente sospirò. «Okay, ma solo perché sei tu.»
Il ragazzo lo guardò negli occhi. Non poteva dire all’amico quello che pensava davvero, perché sapeva che il giovane non avrebbe accettato il suo punto di vista.
Cheffatica.
3) il punto di vista, questo sconosciuto. Prendiamo un brano scritto in terza persona limitata:
Harry entrò in Sala Comune. Hermione era sdraiata sul divano a occhi chiusi. Aveva un libro aperto sulla pancia che andava su e giù al ritmo del suo respiro. Harry sorrise. Non gli capitava spesso di vederla così rilassata. L’immagine che aveva di lei di solito riguardava grossi libri e appunti scritti in grafia piccolissima.
Se il punto di vista è ben piantato nella testa del personaggio, è come gestire una telecamera ad alta precisione. Il lettore sa di trovarsi nella testa di Harry e sa che Harry sta fissando Hermione che dorme. Meglio manovriamo la telecamera, più facile sarà far capire al lettore chi sta parlando e di cosa.
Inoltre, se vogliamo essere puntigliosi, Harry non penserebbe mai a se stesso come “il Grifondoro” o “il Cercatore”, come non penserebbe di Hermione che è “una moretta” o una “riccia”, no?
“Ma Kukiness,” direte voi, “Harry non pensa a se stesso nemmeno come Harry!”
E avete ragione, miei piccoli lettori! Le persone, infatti, pensano più per immagini e per impulsi che per parole, e anche quando pensiamo per parole non stiamo lì a fare la radiocronaca di tutte le nostre azioni – è una dei grandi problemi dei lettori di menti!
Mettiamola in questo modo:
quando scriviamo, il nostro primo obiettivo è quello di comunicare al lettore qualcosa. Se il lettore non capisce quello che sta succedendo nel romanzo, è un bel problema. È uno dei limiti della gestione della prima persona: da una parte abbiamo la necessità di far capire al lettore cosa succede scrivendo in maniera limpida e comprensibile; dall’altra, tutto ciò che facciamo fare al nostro personaggio si ripercuoterà sulla sua caratterizzazione. Pensate a una madre che assiste alla morte del figlio, investito da un’auto: da una parte, dobbiamo riprendere questa scena per far capire al lettore che cosa succede; dall’altra, che razza di persona rimarrebbe a guardare i dettagli della morte del figlio e li descriverebbe minuziosamente nella propria testa? Dobbiamo bilanciare quindi la necessità di esprimerci chiaramente e correttamente e quella di caratterizzare in maniera efficace i nostri personaggi.
Vi faccio un altro esempio. Se il nostro protagonista fosse un benzinaio che possiede solo la licenza elementare, nel momento in cui lo facessimo entrare in una cucina di un hotel, ad esempio, non potremmo scrivere:
Bob prese una sac à poche e si chiese a che diavolo servisse.
Bob non conosce il termine “sac à poche”! O magari sì, perché pur essendo un benzinaio che non è andato a scuola segue tutti i giorni la rubrica di Benedetta Parodi. Ma in questo caso Bob non lo sa.
Lo stesso potremmo dire di Bob che si incontra per la prima volta con Ted.
Bob entrò nella cucina di soppiatto. Aveva una fame da lupi e non vedeva l’ora di saccheggiare il frigo.
“Fermo lì!” gridò una voce.
Bob si voltò e vide Ted che brandiva una padella per minacciarlo.
Bob non conosce Ted! È la prima volta che lo vede. Come fa a sapere che si chiama Ted?
Torniamo a Harry Potter, che è ancora lì ad aspettarci da tipo ventisette paragrafi.
Dicevamo: verosimilmente, Harry non pensa a se stesso come “Harry”. Vero. Ma nella terza persona limitata abbiamo comunque il filtro del punto di vista che ci aiuta e la necessità di far capire al lettore chi dice cosa e chi fa cosa. Nella prima persona, il verbo coniugato in prima persona singolare ci aiuta a capire chi parla e chi fa cosa senza bisogno di specificare il soggetto “io” (a meno che non ci sia una ragione enfatica):
Prendo il giornale e lo sfoglio fino alla pagina sportiva. «Non mi interessa.»
Giulia mi guarda in tralice. «Come fai a essere sempre così distaccato?»
«Non sono distaccato.» Sorrido. «Solo ragionevole.»
«Potresti andarci tu,» disse Luca.
Ma io non avevo intenzione di andare da nessuna parte!
Nella terza persona, invece, i verbi non aiutano a capire chi stia parlando (tutto è coniugato alla terza persona singolare, senza distinzione). Perciò è necessario esplicitare che a dire e fare certe cose è Harry, non qualcun altro.
Quindi: soddisfiamo la necessità di essere chiari (e specifichiamo quindi al lettore chi compie l’azione) e tendiamo il più possibile alla verosimiglianza (Harry non pensa a se stesso come al “moretto”).